Trovò l'amico vicino al letto, con un
vassoio occupato da due tazzine di caffè, dalla zuccheriera e da
un pacco di biscotti che aveva, fortunosamente, trovato in cucina.
Ringraziò, con un sorriso, il giovane della premura e fece rapidamente
colazione.
Quando finì, Filippo Maria le offrì una sigaretta, si sedette
sul letto ed espresse i propri dubbi.
"Vedi, Titta, ieri sera mi hai raccontato alcune cose; ora, scusa
la sfiducia, tu saprai senz'altro che un individuo, anche il più
equilibrato, se sottoposto a forti tensioni, può dar corpo a ...
ai fantasmi della propria mente, come dicevano nei romanzi dell'ottocento.
La domanda che ti faccio, quindi, è questa: le cose che mi hai
raccontato ieri sera, sono le stesse che mi racconteresti stamattina?
Ti ricordi cosa hai detto, o non ricordi nulla?"
Lei spalancò gli occhi, scosse il capo e protestò.
"Ma cosa ti ho detto? Ho semplicemente raccontato i fatti, così
come sono e come li avevo saputi da Giorgio. Se vuoi te li posso anche
ripetere, in qualsiasi momento".
Il giovane la pregò di farlo e lei gli riepilogò sinteticamente
i fatti.
Il partenopeo era convinto, adesso, che ciò che la ragazza gli
aveva raccontato era, con ogni probabilità, vero o che, almeno,
la ragazza conosceva quella verità.
Alla fine della narrazione, Filippo Maria espresse il suo parere sulla
faccenda tutta.
"Scusa se ti ho fatto ripetere la storia, ma volevo essere sicuro
delle tue asserzioni, ora che non sei più sotto choc.
Comunque sono d'accordo con te: il caso comincia a delinearsi chiaramente;
il fatto che Giorgio, cioè, possa essere stato ucciso, è
una cosa che da decisamente da pensare e che sembra realistica anche a
me.
Non mi convince neanche il fatto dell'incidente, non mi va giù
che si cerchi di liquidarlo così alla veloce; cioè: mi sentirei
come un bambino se dovessi dire: 'sì, è vero quello che
ha detto Olcese perché io mi fido di lui'. Per me è inammissibile;
cioè, diremo, (accidenti quanti cioè, stamattina!), ci sono
molte probabilità che non sia vero; primo perché so come
Giorgio guidava e so benissimo che Giorgio, a meno che non trovasse un
pazzo, pazzo almeno quanto lui, non si andava a fracassare.
Secondo: perché Giorgio lo considero una persona abbastanza attenta
e accorta, nonostante le apparenze, (cioè che, quando andava in
macchina, bisognava sparargli addosso).
No, più ci penso e meno la credo possibile, l'ipotesi dell'incidente
banale, causato da un qualsiasi pirata della strada.
Visto che ora, tutto sommato, ci posso stare un pochettino dietro, voglio
proprio vedere come va a finire; non posso non considerare anche che,
nella storia di Giorgio, sei coinvolta anche tu e, ovviamente, non voglio
che ti capiti qualcosa.
C'è già stato un morto, ce n'è stato un secondo ed
anche un terzo; senza contare il precedente delle ruote di Giorgio; direi
che c'è proprio qualcosa che comincia a non funzionare.
Inoltre, visto che Giorgio ha affrontato la cosa quasi di petto, non ho
intenzione di procedere alla stessa maniera, visti anche i risultati:
correremmo soltanto dei rischi, a questo punto, perché va da sé
che, se mi metto a ripercorrere la strada che Giorgio ha già percorso,
qualcuno mi ha dato l'imbeccata. E, a questo punto, ci può essere
solo una persona che me l'ha data: tu! Questo perché io conosco
soltanto te, dei personaggi di questa storia; d'accordo, se ricomincio
l'indagine, potremmo essere in pericolo in due, ma ho la convinzione che
sia meglio rischiare in due, piuttosto che lasciarti ad aspettare gli
eventi, che intuisco funesti, per quanto ti riguardalo l'impressione che
è cominciato un certo gioco al massacro e non voglio stare con
le mani in mano a guardare".
Filippo Maria, alla fine della lunga tirata, capì che Titta, forse,
aveva fatto fatica a seguire ciò che aveva detto; le chiese, perciò,
scusa ed imputò alla notte in bianco la sua poca chiarezza.
La giovane, che non aveva mai visto l'amico accalorarsi così, si
affrettò ad assicurargli che aveva, invece, capito quanto il napoletano
gli aveva illustrato. Infine, espresse un'idea che le era balenata in
quell'istante.
"Sì, va bene; ma almeno avvertiamo Olcese, lui ti potrà
..." "No, non voglio altra gente, al corrente; preferisco non
rischiare soffiate, tanto più che l'indagine la faccio, diremo
così, alla buona: non mi interessa avere il porto d'armi e cose
varie come Giorgio. Comunque me la prenderò con calma; non andrà
molto per le veloci, perché è una cosa che va affrontata
da sotto; cioè, non va presa di petto: va aggirata.
Perciò è una cosa che fa perdere del tempo; è un'indagine
soprattutto dell'ambiente in cui i delitti sono maturati. Anche perché
qui non ci sono più indizi da esaminare poiché, ammesso
che ci siano stati, saranno ormai andati persi. C'è da esaminare
l'habitat di questa gente; si tratta di un'indagine induttiva, non come
quella di Giorgio che è stata deduttiva, fatta a botta calda; questa
non sarà così, a botta e risposta, sarà fatta rilevando
gli indizi, le tracce estremamente labili, ormai, lasciate chi lo sa da
chi. L'importante sarà riuscire ad entrare nell'ambiente del...
come si chiama lì, dello Spagnolo, o almeno nella sua sfera di
amicizie ..." fece una breve pausa per accendersi una sigaretta "...
nelle sue amicizie, dicevo; cercare di capire che razza d'ambiente fosse
e, a questo punto, cercare di far venire fuori quello che Giorgio ha saputo
con domande dirette".
Titta lo guardava stupita: l'amico aveva fatto un quadro della situazione
approfondito e realistico, anche se piuttosto incasinato, segno che doveva
averci riflettuto su per buona parte della notte.
Fece la domanda più ovvia.
"E cosa conti di fare?"
Filippo Maria riflette qualche istante; era stato così preso dalla
realizzazione teorica, da non aver neanche preso in considerazione i problemi
che l'aspetto pratico dell'indagine comportava.
"Beh, ho quattro giornate libere, compreso oggi, che mi spettano
dopo essere tornato dal trasferimento temporaneo; quindi il tempo per
impostare la faccenda ce l'ho. Ora pensavo ... sì, hai le chiavi
dell'appartamento di Giorgio?"
Titta annuì e le andò a prendere. Tornando, chiese all'amico
come contava di agire.
"Pensavo di fare una scappata in casa di Giorgio: magari potrei trovare
qualcosa che mi aiuterà a portare avanti questa faccenda. Non è
da escludere che Giorgio possa aver dimenticato, o semplicemente non averti
voluto raccontare, qualcosa; o, anche, che tu possa aver scordato di dirmi
un qualunque particolare. Non so, onestamente; diciamo che spero che là
mi vengano delle buone idee, ecco".
Seduto in macchina, rivolse uno sguardo amorevole al cruscotto. Quella
Lancia Stratos era la sua passione: l'aveva comprata dopo un periodo particolarmente
felice al tavolo da poker. Il bolide, bianco, era oggetto delle amorevoli
cure del bancario, lavata ogni settimana e sottoposta ad inceratura ogni
quaranta-cinquanta giorni. Il potente motore non aveva un granello di
polvere o la più piccola macchiolina d'olio: Filippo Maria asseriva,
scherzosamente, che era più pulito il suo motore della coscienza
di un neonato.
Come il giovane azionò, infine, l'avviamento, i tubi di scappamento
si risvegliarono a nuova, fragorosa vita.
Mentre faceva scaldare debitamente il motore, riordinò le idee
e decise, prima, di fare una scappata a casa sua, giusto il tempo di fare
una doccia e cambiarsi.
Così, poco tempo dopo, entrò nel villino che occupava per
un affìtto simbolico: potenza dei parenti. Il villino, in via Capo
di Santa Chiara, era di un suo 'cugino', figlio di un parente il quale,
a sua volta, aveva sposato la cugina della sorella di... insomma: una
di quelle persone che ci si ritrova ad avere come parente senza aver capito
bene come.
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