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Sapore di clinto (nona parte)

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"Beh, non ho concluso granché: mi sono trovato a parlarne con Gianni Cacino, un mio amico, tanto per sentire anche un'altra campana. Riflettendo con calma, abbiamo pensato che l'unico vizio di Bruno Spagnolo, se ne aveva uno, e personalmente non credo che ci sia qualcuno completamente privo di vizi, persino tu ed io ne abbiamo, comunque dicevo: l'unico vizio che potrebbe aver avuto il nostro amico, l'unico che potrebbe averlo portato ad una fine prematura, poteva essere l'omosessualità. Abbiamo, io e Gianni, ipotizzato che Spagnolo ricoprisse unicamente il ruolo attivo, nella coppia; in tal caso saremmo riusciti anche a far quadrare i risultati dell'autopsia. Abbiamo cominciato a fare domande nell'ambiente dei finocchi con una persona fidata, ma l'unica cosa che abbiamo scoperto, è che qualcuno non vuole che s'indaghi sulla faccenda. Questo me lo hanno fatto capire sabotandomi la macchina, una cosa estremamente sgradevole, ma che ha provocato il mio massimo interessamento alla faccenda.
Tra l'altro è gente estremamente organizzata: considera che mi hanno sostituito i bulloni di una ruota con degli altri di alluminio; ora, come tu sai, l'alluminio è molto più fragile dell'acciaio, così i bulloni si sono spaccati, la ruota è partita per la tangente ed io mi sono ammucchiato sulla sopraelevata. Per giunta, sono diventato matto per convincere i carabinieri che non intendevo sporgere denuncia, poiché pensavo che fosse uno scherzo un po' pesante fattomi da un non meglio identificato amico. Nonostante tutto, non ho combinato niente: ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa, ma mi venisse un accidente se capissi cosa. Tutto qui".
Olcese annuì in silenzio, accendendosi una sigaretta.
"Insomma, non hai concluso niente più di quello che abbiamo concluso noi. E questo a rischio di sputtanarmi in questura".
"Già, non ho concluso niente, per adesso. Ma ora sono interessato di persona: la pelle l'ho rischiata io. Per questo voglio beccarlo, quel figlio di buona donna!"
Si guardarono in cagnesco per qualche istante; poi Olcese abbassò lo sguardo: non aveva mai visto l'amico così deciso.
"Okei, capoccione, fai come vuoi; ma ricordati che, se ti fai ripescare, ti faccio passare tante di quelle grane che non te le immagini neanche".
Giorgio fece un gesto di pigro assenso.
"Sì, va be'. E senti un po', Santo: per quella faccenda alla quale ti ho accennato ieri sera ...?"
Olcese annuì, aggrottando leggermente la fronte, e si rivolse a Mendolia.
"Bene, brigadiere; è soddisfatto delle spiegazioni?" Questi annuì.
"Allora può andare".
Quando Mendolia si richiuse la porta alle spalle, il commissario si rivolse bellicosamente al giovane.
"Toglitelo dalla testa! Mendolia mi serve assolutamente!"
Poi Olcese si calmò e riprese a parlare. "Vedi, Giorgio, quella tua idea, non ha precedenti nella storia della pubblica sicurezza. Perciò non me la sento di darti il 'placet'; però ho riflettuto sulla faccenda e ... l'unica cosa che posso fare è, considerando i tuoi precedenti, farti ottenere un porto d'armi, provvisorio, ed un'arma. Ma questo è il massimo che ti posso concedere".
Giorgio lo guardava con uno sguardo misto di stupore e pensosità.
"Cosa vuoi dire: 'considerando i tuoi precedenti?' "
"Niente: che ti conosco bene e ... so che sei incensurato".
Giorgio tacque, soppensando i pro e i contro della proposta dell'amico; contemporaneamente, la sua mente analizzava la risposta del commissario ed intuiva, in quell'esitazione, una spiegazione diversa. Capiva che Olcese aveva un'altra risposta da dare, ma non poteva darla.
Stava per chiedere chiarimenti, ma immaginava che l'amico glieli avrebbe rifiutati con fermezza, seppure a malincuore. Prese mentalmente nota di chiedere, in un altro momento, quei chiarimenti e tornò ad analizzare la proposta.
Nel frattempo, Olcese stava pensando al vero motivo che gli permetteva di concedere quel nulla-osta: la scheda personale di Zanelli Giorgio.
Giorgio, quando era molto più giovane, circa dodici anni prima, aveva conosciuto un certo Bruno Bortolotti. In un paio d'anni erano diventati amici inseparabili; lui, a quei tempi, non s'interessava di politica, mentre il Bortolotti era già un noto provocatore fascista. Solo dopo qualche anno, Giorgio aveva cominciato a simpatizzare per la sinistra e, in breve tempo, si era raffreddato nei confronti dell'altro. Sino a che, un giorno, un violento litigio aveva segnato la definitiva rottura tra i due; da allora non si erano più rivisti.
Giorgio aveva, però, meritato quella scheda a causa della sua amicizia con Bortolotti, che l'ufficio politico teneva d'occhio da ormai dieci anni.
Continuò a ripassarla mentalmente e ripensò con stupore a quando l'aveva trovata: sapeva che Giorgio era incensurato e si era stupito di scoprire la scheda informativa alla 'politica'.
Olcese pensò anche all'altro, di cui aveva letto la scheda,e dicise che avrebbe dovuto annegarlo appena nato, se fosse stato sua madre, ma purtroppo...
Il commissario, aveva passato venti minuti buoni a leggere il contenuto della scheda del suo giovane amico ed aveva, così, appreso che Giorgio era cattolico non praticante, stimato dai conoscenti come persona fondamentalmente onesta, generoso con gli amici e dotato di una buona intelligenza; d'altro canto era soggetto ad attacchi di violentissima ira ed era molto vendicativo.
Sembrava che avesse conoscenze anche nel mondo della malavita, conoscenze dovute a qualche errore giovanile nella scelta degli amici; errori rarissimi, ad onor del vero.
Era anche portato ad avventure carnali intense quanto brevi. Aveva fatto diversi lavori come il cameriere, il piazzista, il meccanico, il fotoreporter per un piccolo ed effimero settimanale, il disegnatore tecnico, l'assemblatore elettronico ed attualmente occupato presso un'azienda cittadina come riparatore elettrico. Politicamente era collocato in quel mezzo limbo definito dal vago termine 'ideologicamente socialista' ma non risultava impegnato attivamente.
Si riteneva che non fosse dedito a pratiche omosessuali, pur avendo conoscenze in questo ambiente, o all'uso di sostanze stupefacenti.
Il commissario, finita la lettura, era rimasto pensoso: gli sembrava di aver letto la scheda di qualcun altro, una persona che lui conosceva appena.
E' strano: uno esiste, vive, respira, ama, soffre, lavora; però, se leggesse un proprio ritratto del genere, stenterebbe a riconoscersi; lui, infatti, aveva fatto fatica a riconoscere in un vago 'ideologicamente socialista' il Giorgio Zanelli che pensava, discorreva, discuteva; il Giorgio Zanelli che, in ultima analisi, lui conosceva così bene.
Olcese ruppe il filo dei propri ragionamenti, ritornando bruscamente alla realtà.
"Allora cosa ne pensi della mia proposta del porto d'armi?"
"In mancanza di meglio, anche il porto d'armi va bene, ma a condizione che ce ne sia anche uno per Titta ed uno per Gianni".
Il commissario storse la bocca ma, vedendo la risolutezza dell'amico, acconsentì.
Mentre il commissario si occupava delle pistole e dei relativi permessi, Giorgio prese mentalmente nota di dire a Gianni di liberarsi dell'artiglieria di provenienza illegale. Evidentemente l'amico aveva trovato le armi al mercato nero; magari erano armi che erano servite a compiere qualche delitto e poteva essere rischioso, oltre che cretino, farsele trovare addosso.
Dopo circa un'ora, Giorgio lasciava la questura con le armi ed i tre permessi relativi, riflettendo sul caso Spagnolo: 'sentiva' che aveva impostato erroneamente il problema, che doveva tentare un'altra strada.
Tuttavia, per quanto si concentrasse, non riusciva a capire dove fosse il suo errore. Pensò, così, di discutere i suoi dubbi con Titta e Gianni, a cena.

================================ Fine modulo 25 =======================================

Quella sera, Giorgio preparò un'altra delle sue succulente cenette. Diversamente dai programmi, alla riunione partecipava anche il commissario Olcese il quale, da parte sua, un po' aveva sullo stomaco il caso insoluto ed, un po', cominciava a sentire la mancanza di altri interessi nella vita, oltre all'epilogo dell'esistenza di Bruno Spagnolo.
Dopo cena, i quattro amici si trasferirono nel living-room, dove Giorgio fece una generosa distribuzione di whisky.
Poi cominciò ad esaminare il problema che gli stava a cuore.
"Bene; le nostre indagini, dopo tre mesi di sosta, riprendono. Ci ho riflettuto parecchio, in questi mesi, ed ho l'impressione di aver ... non so ... dimenticato qualcosa di importante... di aver fatto, come dire... un errore di impostazione, ecco! Non riesco assolutamente a capire dove, come e perché l'ho commesso, ma so di averlo commesso; vi chiedo, perciò di aiutarmi a trovarlo".
Si misero a riflettere in silenzio, ognuno per proprio conto; Giorgio aveva dato loro dei fogli che suntavano tutti i dati in loro possesso e le ipotesi fatte, avvertendo però che queste non erano vincolanti.
Dopo una diecina di minuti, si sentì la voce soddisfatta di Tiziana rompere il silenzio.
"Statemi un attimo a sentire, credo di aver trovato! Dimmi un pò, Giorgio: chi è che sa tutto di te? E sa perché 'deve' sapere, bada bene, non perché vuole!"
Nella stanza il silenzio era quasi un'entità tangibile.
"Su, è facile: il tuo medico! Per una ragione o per l'altra sa tutto, di te!"
"Già, cazzo, è vero! Noi non abbiamo sentito il medico di famiglia!"
Olcese cercò di smorzare gli entusiasmi.
"Il dottor Schiavoni lo abbiamo già sentito noi; non credo che riuscirete a ricavarne niente, ad andarlo a sentire".
"No, Santo, voi lo avete interrogato tenendovi sul vago, senza sapere bene cosa volevate, non su un'argomento specifico come vogliamo fare noi. Questo prima di tutto; e poi, con tutte queste pressioni che hai avuto dall'alto, sei sicuro di averlo interrogato a fondo, come in un'altra indagine?"
Olcese eluse la domanda.
"Vuoi dire interrogarlo partendo dal presupposto che Bruno Spagnolo fosse omosessuale?"
"Sì, esatto. Del resto interrogarlo non ci costa niente, giusto? Lo faremo domani stesso".
Il giorno dopo, Giorgio si incontrò con Gianni, nel primo pomeriggio, e raggiunsero l'abitazione del dottor Schiavoni con la 127 di Giorgio.
Durante il percorso, il giovane confidò alcune sue considerazioni all'amico.
"Immagina la scena della quale saremo interpreti, tra un pò: noi che arriviamo lì, belli come cherubini, ma senza mandato, senza una qualifica di alcun genere e a quello diciamo: 'dica la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità'; il quesito che ti pongo è questo: da quel momento, quanti secondi passeranno, secondo te, prima che ci troviamo a rotolare giù per le scale, brutalmente scacciati da Schiavoni?"
"Pochi, l'avevo pensato anch'io. Ma come gliela mettiamo a nome, allora?"
"Elementare, Watson; per una volta usiamo l'astuzia anziché la grinta".
"Nel dettaglio...".
"Beh, sta' a sentire se ti sfizia; siamo due autori di libri gialli ed abbiamo scelto (casualmente, sia chiaro!) il caso Spagnolo come canovaccio della nostra storia. Non volendo andare a rompere le scatole alla famiglia, se lui volesse essere così gentile da rispondere a qualche domanda, bla-bla-bla. Gliela vendiamo confezione-regalo, con nastrini, fiocchetti e tutto, e, se abbocca, gli facciamo un paio di domandine facili-facili, tanto per scaldarci. Poi gli tiriamo la botta da un milione di sesterzi e vediamo come va a finire".
"E se va buca?"
"Se va buca è colpa tua!"
"Perché, poi?"
"Perché non hai avuto l'idea buona, prima di tutto, e poi perché il capo sono io e non sbaglio mai!" "Mavaldiavolo!"
Lì a poco, accolti dal dottor Schiavoni, raccontarono la loro fanfaluca, con la quale vinsero la diffidenza iniziale del medico.
Dopo un poco, incrociando mentalmente le dita per scaramanzia, Giorgio fece 'la domanda'.
"... Ma adesso, tanto per delineare meglio il personaggio, dottore, vorrei prospettarle l'ipotesi che lo Spagnolo (è solo una ipotesi, badi bene!) fosse dedito a... sì, come dire... ecco, pratiche omosessuali".
Gianni notò un rapido movimento del medico ed una breve esitazione sgomenta, prima di rispondere.
"No, penso di poter escludere che lo Spagnolo avesse deviazioni del genere. Baso questa mia asserzione sia sulla conoscenza che avevo del soggetto, sia sul fatto che conosco a fondo la 'forma mentis' e le reazioni emotive degli omosessuali; questo grazie ad elementari cognizioni di psicologia, che devo avere per la mia attività, ed anche al fatto che un paio di miei pazienti sono ... affetti da questo genere di turbe psicologiche. No, escludo assolutamente questa ipotesi".
Giorgio assentì lentamente, come se lui avesse già conosciuto la risposta che il medico avrebbe dato.
Dopo questa domanda, formulata con noncuranza, vennero posti al medico altri quesiti banali, tanto per salvare le apparenze; poi la conversazione languì ed i due amici decisero che non era il caso di continuare ed entrarono nell'ordine di idee di togliere il disturbo.
Schiavoni, però, volle informarsi sulla loro (fasulla) attività, chiedendo lumi sull'intreccio della storia. I due giovani risposero in maniera soddisfacente, inventando di sana pianta.
Poi un'altra bordata di convenevoli e ringraziamenti, appena
prima che Giorgio e Gianni lasciassero l'abitazione del dottore.
Stavano scendendo le scale quando Giorgio, con voce indifferente, si rivolse a Gianni.
"Okei, tu cosa ne pensi?"
"Come sarebbe a dire? Non hai notato come ha reagito, quando glielo hai chiesto?"
Il viso di Gianni esprimeva la massima incredulità, come se il sospetto che l'amico volesse prendersi gioco di lui, fosse germogliato nella sua mente.
Si fermò sul pianerottolo, guardando l'amico che lo fissava con uno sguardo ironico.
"Perché, cosa ha scoperto il nostro Sherlok Holmes, di così importante, da giustificare quella faccia da gesuita di fronte ad una femminista?"
"Ma stammi a sentire. Ti ricordi cosa ha fatto, quello, quando hai ipotizzato che Bruno potesse essere finocchio?"
"Avanti, dimmelo tu cosa ha fatto".
"Certo che te lo racconto! Stava giocherellando col fazzoletto nel taschino, ma quando glielo hai detto ha portato la mano alla gola, così.". E portò la mano destra al collo, col pollice un poco sotto l'orecchio destro, le dita unite verso sinistra ed il palmo della mano poggiato sulla base del collo. "Contemporaneamente ha spalancato gli occhi, alzando le sopracciglia; poi si è controllato, ha levato la mano, ha deglutito e ti ha risposto".
"Interessante; e allora?"
"Ma come 'allora'! Ne conosci abbastanza di finocchi, da sapere che, quando sono in imbarazzo, fanno un tipico gesto femminile: quello, appunto, di portarsi la mano alla gola, come per proteggersi. O no?"
Giorgio fece un ampio sorriso.
"Uh-uh, hai ragione. Volevo semplicemente essere sicuro che tu avessi notato un qualcosa di... 'diverso' nel nostro amico. Adesso torniamo su e vediamo di farlo cadere in qualcuno dei nostri diabolici trabocchetti".

================================ Fine modulo 26 =======================================

Il dottore rivide, con meraviglia, i due giovani i quali, con un sorriso complice, dopo essersi scusati per il disturbo che tornavano a recare, cominciarono ad illustrare la nuova teoria che li aveva 'folgorati' sul pianerottolo.
Gianni notò subito che Giorgio cercava di mettere sotto pressione il già disorientato Schiavoni.
"Vede dottore; scendendo le scale, ci è passata per la mente un'idea, alquanto peregrina in verità, e volevamo esaminarla con lei, se non le è di troppo disturbo".
"Anzi, la prego".
"Ho pensato di proseguire sulla falsa-riga dell'ipotesi della quale si discuteva poc'anzi..."
Il dottore, a disagio, cambiò posizione sulla poltrona.
La voce di Giorgio parve diventare più calma, forse più insinuante, mentre proseguiva esponendo il corollario dell'ipotesi.
"... e che per le succitate 'turbe' avesse trovato un partner fisso; anzi, diciamo pure: un amante.
Ma da persone dabbene, inserite perfettamente nella nostra società benpensante, hanno cercato di nascondere questa relazione agli occhi del mondo.
Avrei anche pensato di descrivere la loro prima volta; quella volta che, sfiorandosi casualmente, avevano capito che...
Inoltre mi sono fatto una specie di identikit dell'amante dello Spagnolo: lo immagino una persona più anziana di lui, diciamo di mezza età, insospettabile... diciamo un professionista, un avvocato o un medico per esempio..."
Schiavoni sbiancò in volto e Giorgio capì di aver azzeccato il bluff.
"No, non è vero! Non vedo come lei possa fare queste basse insinuazioni!"
"Dottor Schiavoni, non si agiti! Le ricordo che questa è soltanto un'ipotesi, niente di decisivo... per ora!".
"No, lei sta facendo delle illazioni assolutamente gratuite ed
offensive..." "A giudicare dalla sua reazione, direi che non si tratta né di illazioni, né di cose campate in aria!"
"Cosa vuole insinuare?"
"Non insinuo niente; affermo, invece, che l'amante di Bruno Spagnolo era lei, esimio signore".
Il medico era, ormai, sul punto di scoppiare in lacrime: capiva che quei due lo avevano messo con le spalle al muro.
"Ma... sì, se si viene a sapere una cosa del genere, che cosa sarà della mia posizione sociale, delle mie amicizie? Sarò rovinato!..." E continuò così per un po'; Giorgio aveva deciso di farlo macerare nella disperazione per qualche minuto, tanto per ridurre le sue resistenze.
Gianni, alla fine, interruppe le lamentazioni del medico con un perentorio "la pianti!" e l'altro, dopo aver uggiolato ancora un poco, si calmò.
Giorgio ridiventò padrone del campo al posto dell'amico: gli piaceva moltissimo essere il leader, soprattutto quando le cose andavano bene.
"A noi non interessa come lei ami trascorrere il suo tempo libero, o con chi. Noi vogliamo unicamente sapere tutto ciò che riguarda Spagnolo, tanto per poter tentare qualche ipotesi valida sulla sua morte. Sono stato sufficientemente chiaro?"
Un lampo di speranza illuminò debolmente lo sguardo del medico, sino a quando il concetto raggiunse la sua mente dove venne verificato, considerato valido ed accettato.
Quando questo processo mentale venne ultimato, un timido sorriso cominciò a mutare l'espressione del medico, come un condannato a morte che cominci a capire di aver avuto l'inaspettato condono.
"Penso di aver afferrato il concetto, vi ringrazio. Prima di rispondere alle vostre domande, però, ve ne vorrei fare una io. Ho capito che non siete due scrittori di gialli..." "Beh, ecco; diciamo che una persona che ci è molto vicina è stata molto colpita dalla morte di Bruno e, diremo così, ci ha chiesto di farle sapere la
verità su questa storia. Ma non siamo poliziotti. Se è soddisfatto della risposta, la pregherei di dirci, adesso, ciò che vogliamo sapere".
Il medico si mosse sulla poltrona ed annuì con la testa.
Giorgio, in quell'istante, fu folgorato dalla verità, novello Saulo sulla strada di Damasco, e la domanda gli salì spontaneamente alle labbra.
"Prima di tutto vogliamo sapere ... sì, ci racconti perché ha ammazzato Bruno Spagnolo!"
I tre si scoprirono ad osservarsi: Gianni aveva un'espressione
tra l'incredulo e il seccato, come se il suo migliore allievo si fosse
fatto bocciare ad un esame facilissimo; Giorgio, sotto un'apparenza indifferente, celava l'ansia di chi tira ad indovinare ed aspetta
di sapere se ha colto nel segno, pur aspettandosi tutto meno
che ...; quanto a Schiavoni, ostentava un'aria paziente, come se
avessero interpellato qualcun altro e lui aspettasse, educatamente,
il suo turno per parlare.
Poi, lentamente, la sua mente analizzò la domanda; allora, l'aria di educata attesa venne sostituita, a poco a poco, con l'espressione sconvolta di chi si sente inopinatamente, ed ingiustamente, condannato a morte. Infine pianse e spiegò.
"Io volevo veramente bene a Bruno, come avrei potuto ucciderlo? E poi lui è ancora ..." "Lui è ancora cosa?" (Dannata fretta; Giorgio si maledisse mentalmente).
II medico sembrò riprendersi. "E' ancora ... così vivo nella
mia memoria".
Poi un colpo di tosse, un singhiozzo ed un lacrimone interruppero Schiavoni e Giorgio capì che il suo bluff era andato a vuoto.
"Va bene, va bene, si calmi! Le crediamo, basta che non si metta a frignare come un bambino".
Esaminò rapidamente la personalità del medico: era un
pavido, un insicuro; non sarebbe mai stato capace di uccidere chiunque, men che meno Bruno (Slancio passionale? Improbabile! ), né tantomeno di sabotargli la macchina. Del resto, col fatto che lui non sembrava frequentare certi giri, come avrebbe fatto a sapere della sua indagine? E, se avesse saputo di lui, perché, allora, avrebbe accettato quell'insidioso colloquio? Ma allora, se Schiavoni non aveva ucciso Bruno erano punto e a capo! Evidentemente quella morte doveva essere imputata ad altri autori e, per giunta, per motivi ancora sconosciuti. Da strapparsi i capelli dalla rabbia! Non avevano ottenuto niente, dopo essersi sentiti così vicini alla soluzione dell'enigma. Maledizione! Una vittoria di Pirro: era giusta una parte della loro ipotesi di partenza, secondo la quale Bruno era 'gay', ma non sembrava esserci relazione tra questo fatto ed i motivi della sua morte.
L'unico vantaggio che avevano avuto, seguendo l'ipotesi di Titta, era che avevano convalidato la loro tesi iniziale, ma nient'altro. Decise, però, di sfruttare al massimo lo stato di prostrazione del medico. Così cominciarono ad interrogare, svogliatamente, Schiavoni, per cercare di conoscere il più possibile il morto; il tempo scorreva lento, scandito da domande e risposte.
Uscirono dall'abitazione del medico verso le otto di quella sera ventosa. Entrarono in una pizzeria, per cenare, e attendendo le loro ordinazioni, fecero il punto delle indagini. Il risultato era abbastanza scoraggiante per loro, che si erano sentiti così vicini alla soluzione del caso.
Si dedicarono svogliatamente alle loro pizze, riflettendo silenziosamente. Dopo cena, decisero di andare a fare un giro in autostrada, tanto per poter riordinare le idee nella maniera che era loro più congeniale. Solo quando superarono il casello, Giorgio cominciò a parlare del caso.

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