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Sapore di clinto (sesta parte)

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Sbattè la testa contro il tetto e svenne.
Si svegliò in una stanza impregnata dall'odore del disinfettante, con un disgraziato che raccontava barzellette mentre gli ricuciva (dolorosissimo!) la testa. Decise di odiarlo intensamente e svenne di nuovo.
Riprese coscienza in una fresca cameretta, tutta bianca; capì, quasi subito, che non era la sua stanza. Vide tre ombre vicino a sé; con uno sforzo le mise a fuoco e fece un pallido sorriso. Subito Titta e Gianni si chinarono verso di lui. La terza persona, una infermiera, svolse rapidamente le sue faccende ed uscì.
La fresca, piacevole mano di Tiziana gli sfiorò la guancia, in una carezza piena d'amore e trepidazione.
"Amore, come ti senti?"
Il ferito mosse le labbra e la lingua, come gli avevano insegnato a fare quando voleva parlare, ma non riuscì ad emettere alcun suono: la lingua era diventata spessa un palmo ed era ricoperta di carta vetrata, o così, almeno gli sembrava. Gianni intuì l'origine del problema e gli fece bere un sorso d'acqua da un bicchiere. Giorgio bevve e sentì la lingua tornare simile a quella alla quale era abituato, sin dalla più tenera età. Riprovò con successo a parlare.
"Ho un mal di testa della madonna; per il resto mi sento cosi-così."
"Adesso prova a muoverti, ma lentamente".
Seguì il consiglio dell'amico con estrema cautela ma, come mosse le gambe, sentì un dolore pulsante al ginocchio destro.
"Cazzo, mi fa un male boia il ginocchio.
Ma spiegatemi un po' cos'è successo, che non mi ricordo quasi niente; so solo che andavo a lavorare e che stavo facendo la sopraelevata..."
"Presto detto: ti sei perso una ruota nella curva della Stazione Marittima, ti sei messo a fare le capriole con la centoventisette e ti sei fermato sul tetto. Per quanto riguarda le tue condizioni, hai un taglio sulla tempia destra, dove ti hanno fatto un rammendino coi fiocchi, sei punti, ed uno al ginocchio, ben dodici! Sommati ai cinquantadue dell'altro incidente, fanno settanta esatti; la 'Mucca Carolina' che hai vinto, te la portano domani.
Ah, è probabile che ti scomunichino: hai bestemmiato tanto, quando ti hanno medicato, che hai provocato un'epidemia di crisi vocazionali tra tutte le suore del pronto soccorso".
"Ma come siamo spiritosi! Vattene al diavolo, te ed il tuo umorismo del cavolo.
Comincio a sentirmi tutto fracassato, adesso: cos'altro ho?"
"Lividi e graffi dappertutto, ma non ti preoccupare: tempo dieci giorni, sarai di nuovo bello come un cherubino".
"Non è che abbia qualche frattura..."
"Mi dispiace, niente di niente. Non mi guardare male, lo hai detto come ci sperassi! Comunque hai avuto un trauma cranico e rimarrai due o tre giorni in osservazione. Manco fossi bello..."
"Mavaldiavolo!"
Si tastò con precauzione, per fare un inventario dei danni, cominciando dalla faccia: era costellata da cerottini e gli faceva male uno zigomo.
Trovò cerottini e lividi anche in altre parti del suo corpo.
Alla fine dell'esame fu assalito da un pensiero, un pensiero angoscioso: "E la macchina... che fine ha fatto?"
Gianni assunse l'espressione di chi deve dare la notizia della morte di una persona cara all'interlocutore.
"Forse ci potrai fare un centinaio di migliaia di lire, se il demolitore è onesto; l'ho vista nella rimessa dei vigili urbani ed è conciata male: il parafango posteriore destro non esiste più, la fiancata sinistra ed il tetto sono piatti ed i montanti del tetto sono piegati. Forse esageravo, non è da buttar via, ma ti balla un capitale a farla rimettere insieme".
Giorgio se la prese con una dozzina di santi, coinvolgendoli in pratiche sessuali decisamente poco ortodosse.
Poi si calmò e riflette brevemente.
"Che ora è, adesso?" Titta lo guardò, con uno sguardo incuriosito. "Le dieci e un quarto, perché?"
"Perché adesso tu e Gianni ve ne andate a lavorare, sennò vi perdete la giornata. Non protestate; prometto che non vado al creatore, almeno fino a che non tornate stasera".
Seguì una breve, quanto vivace, discussione, alla fine della quale Giorgio restò solo con i suoi pensieri ed i suoi lividi; lasciò che il tempo si occupasse dei secondi e portò i primi sull'incidente; gli sembrava molto strano aver perso una ruota: conosceva bene la propria macchina e ne curava la parte meccanica con pignoleria, retaggio dei tempi gloriosi dei rallyes.
Immerso in queste riflessioni, non si accorse che la porta della camera si era dischiusa di una decina di centimetri; sentì cadere qualcosa sul letto, un flacone da medicinali, e vide chiudersi la porta con la coda dell'occhio. Raccolse il flacone e vide che dentro c'era un biglietto, che si affrettò a leggere: "Fattigli affari tuoi! Hai visto oggi, cosa capita ai curiosi!"
Era fin troppo chiaro a cosa si riferisse. Giorgio ringhiò un'orribile bestemmia che fece impallidire visibilmente un'infermiera, entrata in quell'istante nella stanza con una minacciosa siringa ipodermica.
Giorgio fece un'imitazione di sorriso. "Mi scusi, credevo di essere solo".
L'infermiera fece un viso severo, lo fece girare su un fianco e, sadicamente, gli iniettò una sostanza dolorosissima nel gluteo sinistro. Ebbe così diritto ad una nuova e violentissima imprecazione.
La giornata passò piatta: Giorgio dormì, lesse una rivista lasciata previdentemente da Titta, mangiò qualcosina e venne visitato da un medico.
"Allora, giovanotto, come ci sentiamo?"
"Lei non lo so, io mi sento una schifezza".
"Vedo che abbiamo il morale alto, benebene! Adesso facciamoci un po' visitare, che se le cose vanno bene ce ne andiamo a casa in pochi giorni". "Dottore! Io pensavo che lei potesse andarsene a casa quando vuole, indipendentemente dal..." "Giovanotto, non facciamo gli spiritosi. E adesso facciamoci... si faccia visitare!"
Il medico lo visitò accuratamente, lo gratificò con una mezza dozzina di "benebene" ed, alla fine, Giorgio seppe che aveva davanti una decina di giorni di ricovero "esseci" (la formuletta "salvo complicazioni" serve a ricordare ai malati che la medicina non è una scienza esatta e che loro sono, di conseguenza, esseri mortali!). 1 dieci giorni erano "... giusto il tempo per farci levare i punti, poi ce ne torniamo a casa". (E dagliela, col plurale maiestatis!)
Ricevette anche la visita di un ufficiale dei vigili urbani (o forse era un semplice brigadiere; chi ci ha mai capito qualcosa con i gradi dei vigili urbani?), scortato da uno stenografo. Giorgio si stupì un poco per la presenza della gallonata guardia municipale ma, non essendo al corrente delle procedure usuali, si sottopose di buon grado all'interrogatorio del tenente (o era forse un capitano di fregata?) sulla dinamica dell'incidente.
Il giovane narrò quanto ricordava ed, alla fine, l'ufficiale gli disse una cosa che lo fece rabbrividere.
"Lei si sarà, forse, chiesto perché questo interrogatorio è stato condotto da un maresciallo (e luce fu!), anziché dal vigile di servizio o, al più, da quelli dell'infortunistica. E' presto detto: abbiamo esaminato i bulloni della ruota che ha perso, signor Zanelli; da ciò che sono riusciti a capire, giù al laboratorio, sembra che i bulloni normali, quelli originali, insomma, siano stati sostituiti con altri di alluminio! Come probabilmente lei saprà, l'alluminio è molto più fragile dell'acciaio: cioè, sottoposto a determinate sollecitazioni dinamiche si spacca più facilmente; come, appunto, i bulloni della sua ruota. Personalmente, ritengo che si tratti di un attentato nei suoi confronti; perciò, se lei vorrà sporgere denuncia ..."

================================ Fine modulo 16 =======================================

Giorgio impallidì, tuttavia assunse un timbro di voce colloquiale. "La ringrazio dell'interessamento, capo; ma penso che non sporgerò denuncia: sarebbe contro ignoti e perderei solo tempo ..."
Il maresciallo annuì pacatamente, come se non si aspettasse una risposta diversa. Gli si leggeva in faccia che aveva una decina di domande da porre a Giorgio, tuttavia salutò e portò via i suoi perché inespressi.
Gianni, Titta e l'ora delle visite, sorpresero Giorgio a riflettere sulle gravi affermazioni del graduato della polizia urbana e sui probabili motivi per cui era stato vittima dell'attentato.
"Ciao! Sentite: sono venuti i vigili per stendere il rapporto sull'incidente e, tra l'altro, hanno detto..." Raccontò brevemente i fatti.
"... insomma, è sabotaggio; inoltre, prima, ho ricevuto questo". Porse il messaggio. "Cosa ne pensate?"
Mentre Titta taceva, impressionata dalla gravita del fatto, Gianni esaminò il foglietto, soppesò la notizia che l'amico gli aveva dato e rese, con una locuzione napoletana, l'idea di ciò che gli attraversava la mente.
" 'a faccia d'o cazzo! Ma allora stai nei casini fino alle orecchie! Cosa intendi fare?"
"Segui il mio ragionamento. L'unica cosa che abbiamo fatto è stata quella di andare a fare domande nel giro degli omosessuali; se hanno tentato di fermarmi, vuoi dire che siamo sulla strada giusta. E siamo anche molto vicini alla verità, se si sono così sbrigati a convincermi a lasciar perdere; ho intenzione di continuare, posso contare ancora su di te?"
Titta intervenne bruscamente.
"Ma aspetta un momento: hanno appena tentato di ammazzarti, stamattina; ma tu no, tu sei furbo, pensi che la tua fortuna continuerà a proteggerti e, quindi, vai avanti! Ma non pensi alla paura con la quale ho pensato a te in questo tempo, da quando hai cominciato questa indagine (per cosa, poi?) e quella che ho provato stamattina, quando ho saputo dell'incidente? Giorgio, fammi un piacere, pianta lì tutto e smettila con questa faccenda!"
"No, Titta: adesso hanno cercato di farmi la pelle ed io, ormai, voglio arrivare in fondo a questa storia. Allora, Gianni: cosa ne pensi?"
Gianni riflette brevemente. "Sì, ci sto anch'io; però ci serve della roba, vedrò di procurarla; si tratta di..."
"Si può?" Alla vista del commissario Olcese il napoletano tacque immediatamente.
"Vieni, Antonio, vieni. Conosci Gianni Cacino? Gianni, il commissario Antonio Olcese".
Stretta di mano, piacere-piacere e Gianni che adduce vaghe scuse e se la squaglia assieme a Titta.
"Allora, non hai ancora perso l'abitudine d'impastarti con la macchina, eh?"
"Antonio, prendi e vai a farti benedire. Ti sembra questa una cosa da dire ad un moribondo?"
"Moribondo un accidenti! L'erba grama ... Comunque ho visto la macchina: una bella botta! Come hai fatto?"
"Ho trovato una ruota sgonfia, stamattina, e l'ho cambiata; ma non devo aver serrato bene i bulloni; tutto qua: un attacco di coglionaggine suicida".
"E va bene. Adesso spiegami perché non la pianti di fare il coglione e di contarmi storie e non mi spieghi per benino chi e perché ti ha cambiato i bulloni, invece. Ho parlato con quelli del Comune e mi hanno raccontato tutto. Il fatto che tu ti metta a cacciar balle, significa che hai un'idea di chi e del perché ti hanno fatto lo scherzetto. Hai scoperto qualcosa sul caso Spagnolo, sbaglio?"
"Sbagli, è la mia vicina del piano di sotto che mi odia perché, quando mi giro nel letto, le molle cigolano e lei si sveglia!"
"Piantala di prendermi per i fondelli! Qualcuno ha cercato di farti la pelle e tu ti comporti come un ragazzino!" Urlò il commissario.
"Non urlare, che svegli gli ammalati. Questa, comunque, è la mia versione; se ti va, tutto il mondo è in pace, altrimenti prendi e vai a farti fottere da qualche altra parte. Sono stato sufficientemente chiaro?"
"Sei una testa di rapa, Giorgio Zanelli" disse Olcese in tono sconsolato "Fa come vuoi, ma se ti sparano addosso o se ti fanno fuori Titta, non venire a piangere da me". Si abbassò appena in tempo per evitare il bicchiere, scagliatogli contro dall'amico, e lasciò frettolosamente la stanza.
Giorgio rimase ad imprecare sommessamente, riflettendo su ciò che Olcese aveva detto. Quasi subito entrò Tiziana.
"Ho visto Antonio fuori dalla grazia di dio; cosa è successo?"
"Niente, amore, niente; abbiamo discusso sulla dinamica del mio incidente, lui non era convinto e siamo finiti ad urlacci. Comunque ricordati che il mio è stato un normalissimo incidente stradale, per chiunque. E bisognerà anche dirlo a Gianni".
La ragazza lo rassicurò e, subito, cominciarono a parlare di altre cose.
Il periodo di degenza non ebbe storia. L'indomani Giorgio fu trasferito in corsia e, per una decina di giorni, si godette la relativa tranquillità dell'ospedale di San Martino.
Trascorso il periodo di degenza, Giorgio venne dimesso per dieci giorni di convalescenza, a casa, e dovette fare una litigata col suo medico curante, per riuscire ad avere, sul certificato, il timbro dichiarante che "l'ammalato può uscire".
Il primo giorno lo trascorse in casa; dopo un lungo e gradevolissimo bagno, tanto per levarsi di dosso l'odore dell'ospedale, occupò il tempo leggendo ed ascoltando musica. Quella sera, erano da poco passate le nove, Gianni andò a visitare l'amico.
"Allora, come ti senti?" "Cosi-così: quello che mi da più fastidio è la pelle del ginocchio, che mi tira un po', ma penso che sopravviverò. Tu, invece, ti sei interessato di quella roba?"
"L'ho addirittura portata; dacci un'occhiata".
Giorgio prese la scatola da scarpe che l'amico gli porgeva e ne estrasse tre involti; ne svolse uno e si trovò in mano un revolver: una Smith & Wesson calibro 38.
"Quella è una Smith & Wesson Military & Police, tanto per precisare anche il tipo. Il tamburo ha sei camere per i colpi da trentotto S.W. Special. La userò io, quella: i revolver hanno la graziosa caratteristica di non incepparsi mai, anche se sono dei bestioni della madonna, ingombranti e pesanti come sono". Tastò gli altri due fagotti e ne aprì uno, porgendone il contenuto a Giorgio.
"Questa è per te: una Luger pizerootto, con nove colpi calibro nove parabellum nel caricatore; fanno un male boia, se ti arrivano addosso ..." Vide l'amico aggrottare le sopracciglia.
"Dai, Giorgio, rilassati; se ti si inceppasse, ti coprirei io, perciò ..."
"Hai intenzione di farmi da balia asciutta?" "Più o meno. Comunque non ho trovato altro e preferisco avere io la più affidabile; sai benissimo che sparo meglio di te e di un mucchio di altra gente, no? Comunque ho bisogno di un sacco di tempo, per ricaricare; quindi vedi tu che i prò e i contro ..."
"Sì, va bene; per Titta cos'hai trovato, invece?"
"Una Mauser seietrantacinque". Il napoletano si baciò la punta delle dita, per indicare la bontà dell'arma. "E' una bella automatica: piccola, maneggevole, abbastanza precisa. E con un rhinculo abbastanza contenuto da non fracassarle il polso, la prima volta che schiaccia il grilletto. A proposito: quando le proveremo, ti accorgereai che la tua da degli sberloni micidiali e dovrai starci attento: ha una potenza dell'accidente".

================================ Fine modulo 17 =======================================

Giorgio arricciò il naso.
"Senti un po', fiorellino: non è che corriamo il rischio di vedercele scoppiare in faccia, la prima volta che le usiamo, eh?"
"Tranquillo, le ho controllate attentamente e ti posso garantire che sono a posto; sai che me ne intendo, no?"
Giorgio assentì e tornò, con la mente, al poligono civile di Belluno, dove accompagnava l'amico a sparare, durante il servizio militare. Gianni doveva allenarsi per partecipare a gare di tiro che gli procuravano, grazie a piazzamenti onorevoli, cospicue licenze. A volte, molto di rado, per la verità, rimpiangeva la naja, dove l'unico problema era, in ultima analisi, aiutare il tempo a trascorrere meno lentamente. D'accordo: era una vita assurda, idiota, alienante; un mondo dove qualunque cretino con un po' di latta sulle spalle, salvo molte eccezioni (per fortuna!), credeva di essere il delegato del padreterno; ma in fondo, molto in fondo, non aveva tutti i problemi che si ritrovava a ventisei anni e, forse, non doveva essere stato cosi brutto. O era la memoria a fargli scordare le angherie, i soprusi, la rabbia, lo schifo, il freddo, la solitudine di quei 'meravigliosi' tredici mesi di merda?
Smise di rincorrere questi pensieri, distratto dalla voce di Gianni.
"... domani le andremo a provare; conosco un posto adatto, abbastanza vicino a qui".
"Okei; ci vediamo alle dieci davanti a casa tua, domattina, va bene?"
"Sì, va bene. Ah, a momenti me lo dimenticavo: sono riuscito a trovare un amico che ti noleggia una macchina a prezzo speciale, finché non ti riparano la tua. Valla a prendere a questo indirizzo domattina, prima di passare da me". Mise un foglietto con l'indirizzo sul tavolo, salutò l'amico ed uscì nella serata ventosa.
Giorgio, rimasto solo nell'appartamento silenzioso, maneggiò per un quarto d'ora le armi soppesandole, poi le riavvolse negli stracci e, rassicurato dall'arsenale, si addormentò in breve tempo.

Il mattino seguente, i due amici si incontrarono all'ora prefissata. Dopo un quarto d'ora, anche Titta si era unita ai due. La giovane si era vestita in maniera adeguata all'escursione: scarponi, blue-jeans ed una camicia militare, con le maniche rimboccate, portatale da Giorgio come "gentile omaggio dell'Esercito Italiano"; con i capelli corti, era tutta da vedere: a Giorgio sembrava una staffetta partigiana.
Comunque, anche i due amici erano vestiti in maniera adatta; Gianni portava, inoltre, un tascapane con armi e munizioni, mentre Giorgio, nominato cambusiere, aveva un simile zainetto contenente i viveri e le bibite.
Dopo una mezz'ora di auto e quaranta minuti di cammino, raggiunsero una valletta isolata dove il napoletano cominciò il suo corso accelerato per "aspiranti pistoleros".
"Bene; statemi a sentire attentamente, soprattutto tu, Titta. Quella che avete in mano è una pistola; se schiacciate quella levetta lì, il grilletto, parte un colpo che vi potrebbe rompere il polso, che fa bum e che potrebbe uccidere un uomo; perciò, la regola fondamentale, per chi maneggia armi da fuoco, è: non puntare mai un'arma, anche scarica, addosso a nessuno se non si è seriamente intenzionati a sparare. Sono stato chiaro a sufficienza?" I due annuirono. "Bene, e adesso impratichiamoci con questi cannoni..."
Spararono per tutto il giorno, interrompendo all'una per fare uno spuntino, ed, alla sera, fischiavano le orecchie a tutti e tre. Gianni aveva preferito esercitarli al tiro istintivo ("E' come indicare col dito: mica dovete prendere la mira, no? Perciò, se vi abituate a tenere la pistola in mano sempre allo stesso modo, sempre con lo stesso angolo tra canna ed avambraccio, ci riuscirete benissimo!"). E dopo circa trecento colpi a testa, in effetti, avevano un buon numero di centri tutti e tre, con una rosata di colpi tale da poter ragionevolmente pensare di colpire una figura umana a dieci metri; distanza sufficiente, per Gianni, poiché escludeva il caso di dover usare le armi ad una distanza superiore. La giornata era stata proficua ed il terzetto tornò a casa con maggior sicurezza per il proprio futuro.

I due amici ricominciarono, quella sera stessa, a fare domande nei posti che Giorgio sperava giusti.
Decisero che un nuovo pericolo doveva essere evitato: un incontro con poliziotti o carabinieri; sarebbe stato, in effetti, imbarazzante farsi sorprendere armati, vista la mancanza di porto d'armi.
La cosa, comunque, andò avanti per qualche sera (troppe per i gusti dell'impaziente Giorgio); poi, avendo ottenuto soltanto dei "io non so niente, io non conosco nessuno", svilupparono l'indagine in altre direzioni: gli amici del 'fu' per esempio.
Così Giorgio telefonò a Cinzia.
"Ciao carissima, come va? ... no, ancora niente ... senti, ti ho telefonato per avere nome, cognome ed indirizzo dei più cari amici di Bruno, se li conosci... sì, esatto, quelli proprio intimi... ma lo so che se ne stava sempre per conto suo, ma forse ... va bene, aspetto ... sì, dimmi ... Stefano Mazzini? ... ah, Bazzini! ... viaisonzo ventinove ... poi? Marco Serrenti ... sì, sì, sto scrivendo ... viacesarecabella quarantatré ... Aldo Paure ... viacocito otto ... sì, ho capito ... va bene, basta così, ciao ... e grazie!"
Con un sorriso si rivolse all'amico. "Bene, andiamo ad ascoltare questi tre simpaticoni. Mi accompagni?" Il napoletano si strinse nelle spalle, con indifferenza.
"Come preferisci. Devo farti da gorilla anche stavolta?"
"Non credo sia necessario; semplicemente mi fai da spalla e, se ti viene qualche domanda furba da fare, falla: non ne ho mica il monopolio, ti pare?"
Gianni giudicò la domanda retorica e si astenne dal rispondere; ciò non turbò minimamente l'amico, che cominciò a studiare i tre nominativi, scritti su un notes.
"Direi di cominciare da Aldo Paure, che abita qui vicino; che ne pensi?"
"Per me è indifferente, sei tu al timone".

Fu così che, all'incirca alle tre di quello stesso pomeriggio, Gianni si trovò a premere il pulsante del citofono contrassegnato da una pomposa targhetta: DOTT. PROF. PAURE ENRICO. Era un'ora accettabile per cercare a casa, qualcuno libero da problemi di lavoro; e anche un'ora accettabile per non trovarlo, come fu in realtà. Si erano presentati come amici di Spagnolo e la madre disse loro che era uscito.
"Signora, avremmo urgenza di parlargli; vorrebbe essere così gentile da fornirci qualche indicazione per rintracciarlo?" Gianni, per formulare la domanda, aveva assunto un'intonazione densa di perfetta educazione, ma di cortese fermezza.
La donna, all'altra estremità del cavo del citofono, probabilmente sorrise, piacevolmente colpita dalla correttezza del giovane e si premurò di rispondere.
"Potreste provare da Tonitto, in via giordanobruno: diversi suoi amici frequentano quel bar ed è probabile che sia lì; se non ci dovesse essere, potreste provare giù al Lido, a giocare a pallavolo".
Con una formula di ringraziamento un po' arzigogolata, il napoletano ringraziò la donna e si congedò, tirandosi dietro Giorgio, preso tra lo stupore ed il divertimento per i cortesissimi baroccheggiamenti dell'amico.
"Tonitto?" "Tonitto!" Ed i due si avviarono.
Colà giunti, i due amici cominciarono a fendere la calca di ragazzetti che sembravano assediare il locale; intorno al bar-gelateria, infatti, gravitano compagnie di ragazzi durante il giorno e giovani della Genova-Bene di sera, fin verso l'una. Il classico locale elegante, piccolo, ma noto in tutta la città.

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