Giorgio
arricciò il naso.
"Senti un po', fiorellino: non è che corriamo il rischio di
vedercele scoppiare in faccia, la prima volta che le usiamo, eh?"
"Tranquillo, le ho controllate attentamente e ti posso garantire
che sono a posto; sai che me ne intendo, no?"
Giorgio assentì e tornò, con la mente, al poligono civile
di Belluno, dove accompagnava l'amico a sparare, durante il servizio militare.
Gianni doveva allenarsi per partecipare a gare di tiro che gli procuravano,
grazie a piazzamenti onorevoli, cospicue licenze. A volte, molto di rado,
per la verità, rimpiangeva la naja, dove l'unico problema era,
in ultima analisi, aiutare il tempo a trascorrere meno lentamente. D'accordo:
era una vita assurda, idiota, alienante; un mondo dove qualunque cretino
con un po' di latta sulle spalle, salvo molte eccezioni (per fortuna!),
credeva di essere il delegato del padreterno; ma in fondo, molto in fondo,
non aveva tutti i problemi che si ritrovava a ventisei anni e, forse,
non doveva essere stato cosi brutto. O era la memoria a fargli scordare
le angherie, i soprusi, la rabbia, lo schifo, il freddo, la solitudine
di quei 'meravigliosi' tredici mesi di merda?
Smise di rincorrere questi pensieri, distratto dalla voce di Gianni.
"... domani le andremo a provare; conosco un posto adatto, abbastanza
vicino a qui".
"Okei; ci vediamo alle dieci davanti a casa tua, domattina, va bene?"
"Sì, va bene. Ah, a momenti me lo dimenticavo: sono riuscito
a trovare un amico che ti noleggia una macchina a prezzo speciale, finché
non ti riparano la tua. Valla a prendere a questo indirizzo domattina,
prima di passare da me". Mise un foglietto con l'indirizzo sul tavolo,
salutò l'amico ed uscì nella serata ventosa.
Giorgio, rimasto solo nell'appartamento silenzioso, maneggiò per
un quarto d'ora le armi soppesandole, poi le riavvolse negli stracci e,
rassicurato dall'arsenale, si addormentò in breve tempo.
Il mattino seguente, i due amici si incontrarono all'ora prefissata. Dopo
un quarto d'ora, anche Titta si era unita ai due. La giovane si era vestita
in maniera adeguata all'escursione: scarponi, blue-jeans ed una camicia
militare, con le maniche rimboccate, portatale da Giorgio come "gentile
omaggio dell'Esercito Italiano"; con i capelli corti, era tutta da
vedere: a Giorgio sembrava una staffetta partigiana.
Comunque, anche i due amici erano vestiti in maniera adatta; Gianni portava,
inoltre, un tascapane con armi e munizioni, mentre Giorgio, nominato cambusiere,
aveva un simile zainetto contenente i viveri e le bibite.
Dopo una mezz'ora di auto e quaranta minuti di cammino, raggiunsero una
valletta isolata dove il napoletano cominciò il suo corso accelerato
per "aspiranti pistoleros".
"Bene; statemi a sentire attentamente, soprattutto tu, Titta. Quella
che avete in mano è una pistola; se schiacciate quella levetta
lì, il grilletto, parte un colpo che vi potrebbe rompere il polso,
che fa bum e che potrebbe uccidere un uomo; perciò, la regola fondamentale,
per chi maneggia armi da fuoco, è: non puntare mai un'arma, anche
scarica, addosso a nessuno se non si è seriamente intenzionati
a sparare. Sono stato chiaro a sufficienza?" I due annuirono. "Bene,
e adesso impratichiamoci con questi cannoni..."
Spararono per tutto il giorno, interrompendo all'una per fare uno spuntino,
ed, alla sera, fischiavano le orecchie a tutti e tre. Gianni aveva preferito
esercitarli al tiro istintivo ("E' come indicare col dito: mica dovete
prendere la mira, no? Perciò, se vi abituate a tenere la pistola
in mano sempre allo stesso modo, sempre con lo stesso angolo tra canna
ed avambraccio, ci riuscirete benissimo!"). E dopo circa trecento
colpi a testa, in effetti, avevano un buon numero di centri tutti e tre,
con una rosata di colpi tale da poter ragionevolmente pensare di colpire
una figura umana a dieci metri; distanza sufficiente, per Gianni, poiché
escludeva il caso di dover usare le armi ad una distanza superiore. La
giornata era stata proficua ed il terzetto tornò a casa con maggior
sicurezza per il proprio futuro.
I
due amici ricominciarono, quella sera stessa, a fare domande nei posti
che Giorgio sperava giusti.
Decisero che un nuovo pericolo doveva essere evitato: un incontro con
poliziotti o carabinieri; sarebbe stato, in effetti, imbarazzante farsi
sorprendere armati, vista la mancanza di porto d'armi.
La cosa, comunque, andò avanti per qualche sera (troppe per i gusti
dell'impaziente Giorgio); poi, avendo ottenuto soltanto dei "io non
so niente, io non conosco nessuno", svilupparono l'indagine in altre
direzioni: gli amici del 'fu' per esempio.
Così Giorgio telefonò a Cinzia.
"Ciao carissima, come va? ... no, ancora niente ... senti, ti ho
telefonato per avere nome, cognome ed indirizzo dei più cari amici
di Bruno, se li conosci... sì, esatto, quelli proprio intimi...
ma lo so che se ne stava sempre per conto suo, ma forse ... va bene, aspetto
... sì, dimmi ... Stefano Mazzini? ... ah, Bazzini! ... viaisonzo
ventinove ... poi? Marco Serrenti ... sì, sì, sto scrivendo
... viacesarecabella quarantatré ... Aldo Paure ... viacocito otto
... sì, ho capito ... va bene, basta così, ciao ... e grazie!"
Con un sorriso si rivolse all'amico. "Bene, andiamo ad ascoltare
questi tre simpaticoni. Mi accompagni?" Il napoletano si strinse
nelle spalle, con indifferenza.
"Come preferisci. Devo farti da gorilla anche stavolta?"
"Non credo sia necessario; semplicemente mi fai da spalla e, se ti
viene qualche domanda furba da fare, falla: non ne ho mica il monopolio,
ti pare?"
Gianni giudicò la domanda retorica e si astenne dal rispondere;
ciò non turbò minimamente l'amico, che cominciò a
studiare i tre nominativi, scritti su un notes.
"Direi di cominciare da Aldo Paure, che abita qui vicino; che ne
pensi?"
"Per me è indifferente, sei tu al timone".
Fu
così che, all'incirca alle tre di quello stesso pomeriggio, Gianni
si trovò a premere il pulsante del citofono contrassegnato da una
pomposa targhetta: DOTT. PROF. PAURE ENRICO. Era un'ora accettabile per
cercare a casa, qualcuno libero da problemi di lavoro; e anche un'ora
accettabile per non trovarlo, come fu in realtà. Si erano presentati
come amici di Spagnolo e la madre disse loro che era uscito.
"Signora, avremmo urgenza di parlargli; vorrebbe essere così
gentile da fornirci qualche indicazione per rintracciarlo?" Gianni,
per formulare la domanda, aveva assunto un'intonazione densa di perfetta
educazione, ma di cortese fermezza.
La donna, all'altra estremità del cavo del citofono, probabilmente
sorrise, piacevolmente colpita dalla correttezza del giovane e si premurò
di rispondere.
"Potreste provare da Tonitto, in via giordanobruno: diversi suoi
amici frequentano quel bar ed è probabile che sia lì; se
non ci dovesse essere, potreste provare giù al Lido, a giocare
a pallavolo".
Con una formula di ringraziamento un po' arzigogolata, il napoletano ringraziò
la donna e si congedò, tirandosi dietro Giorgio, preso tra lo stupore
ed il divertimento per i cortesissimi baroccheggiamenti dell'amico.
"Tonitto?" "Tonitto!" Ed i due si avviarono.
Colà giunti, i due amici cominciarono a fendere la calca di ragazzetti
che sembravano assediare il locale; intorno al bar-gelateria, infatti,
gravitano compagnie di ragazzi durante il giorno e giovani della Genova-Bene
di sera, fin verso l'una. Il classico locale elegante, piccolo, ma noto
in tutta la città.
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