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Sapore di clinto (undicesima parte)

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Poi fu un attimo.
Il pesante veicolo, puntò verso la ruota anteriore della Fiat, Giorgio urlò un "Checcazzofa?", i due veicoli si urtarono e la piccola vettura, allora, puntò verso l'estremità del guard-rail, che penetrò nell'abitacolo sfondando la portiera di sinistra, trapassando il corpo di Giorgio e fermandosi contro il telaio del sedile.
Per l'urto, la portiera di destra si spalancò e Gianni, bolide urlante, precipitò nel vuoto; venti metri più sotto, l'impatto con una roccia lo uccise, ma il suo corpo rotolò ancora per qualche metro.
Il fuoristrada si fermò poco più avanti; il conducente osservò brevemente la macabra scena e ripartì subito.
Sul luogo del sinistro aleggiò, per qualche istante, una lugubre risata demenziale, subito cancellata dal rumore del veicolo che si allontanava.
Pochi minuti dopo, il distratto bigliettario del casello di Recco non notò il parafango destro, accartocciato, di quel Range Rover guidato da un tizio che continuava a ridacchiare.

"Ciao, Pippo! Che piacere rivederti!" La minuta Titta sembrava ancora più piccola, accanto al massiccio partenopeo; non che Filippo Maria fosse eccezionalmente alto, intendiamoci; però aveva un fisico robusto che, a tutta prima, poteva sembrare tarchiato, anche se non aveva un filo di grasso. Infatti, era sempre stato un appassionato sportivo e praticava, tuttora, la pallanuoto.
"Ciao, coso!" Rispose questi, sorridendo, e Titta finse di arrabbiarsi al vecchio scherzo dell'amico. La sua voce era bassa, la parlata ponderata: il napoletano sembrava la quiete assoluta; impressione, questa, dettata anche dalla lentezza dei gesti causata, in verità, da un'innata pigrizia.
Titta si fece narrare dall'amico le esperienze di quell'anno trascorso lontano.
"Cosa ti devo dire? La banca mi ha mandato per un anno a Trieste, ma ieri l'altro ho finito; così ho preso tutte le mie carabattole e sono arrivato oggi pomeriggio. Tu e Giorgio, invece, come state? Quel matto va sempre in macchina alla solita maniera omicida?"
Titta rise. "Sì, va sempre come un matto e la polizia stradale non riesce mai a prenderlo".
"E adesso, dov'è finito?"
"Ah, il segugio è dietro una pista!" "Come?"
"Vedi, Pippo, è una storia lunga; ma, per farla breve, potrei dirti che Giorgio sta indagando su un omicidio successo a maggio. A quanto ho capito, sembra che oggi, lui e Gianni (sai, Gianni Cacino, lo hai conosciuto, no?), beh, sembra che abbiano scoperto qualcosa di importante; adesso saranno in autostrada a rifletterci sopra, come al solito. Ma non ti preoccupare, ancora una decina di minuti e sarà qui: sai che razza di fanatico è, per la puntualità. E adesso, raccontami un po' ..."


Chiacchierarono a lungo, ma verso le dieci e mezza, Titta cominciò ad essere stupita e preoccupata per il ritardo di Giorgio.
"Non ti preoccupare" disse Filippo Maria "la stradale lo avrà finalmente preso e, anziché dargli una megamulta, lo avranno fucilato contro la spalletta di un ponte dicendo 'giustizia è fatta!'".
Titta rise, alla battuta dell'amico, ma senza troppa allegria: ebbe l'impressione di rivedere l'uccellaccio di prima. Le lancette strisciavano lentamente sul quadrante dell'orologio, secondo Titta che diventava, manmano che il tempo passava, sempre più ansiosa.
Filippo Maria si rendeva conto della situazione psicologica dell'amica e, per tenerle la mente occupata, le raccontava annedoti sulla Napoli-top.
Nonostante i tentativi del partenopeo, Titta seguiva il passare del tempo con crescente ansia, tanto che, alle undici passate da qualche minuto, la giovane interruppe l'amico.
"Ho paura che sia capitato qualcosa a Giorgio: non ha mai tardato così tanto senza avvertire; anzi, sento che gli è successo qualcosa di brutto".
"Dai, non drammatizzare: avrà semplicemente trovato un'altra ragazza e sarà scappato con lei lontano dalla tua vendetta".
"No, Pippo, seriamente: sento che gli è capitato qualcosa di brutto".
Titta era nervosissima, come l'amico non l'aveva mai vista.
"Prendo l'elenco e cerco il numero del pronto soccorso: non resisto più ad aspettare".
"Dai, calmati, Titta; magari ha avuto un guasto in autostrada ed è stato ad aspettare il carroattrezzi finora; vedrai che entro le undici e mezza, hai sue notizie. Anzi, se per quell'ora non si è fatto vivo, telefono io agli ospedali, d'accordo?"
Erano le undici e ventinove, quando suonò il campanello; Titta corse ad aprire ed ebbe una delusione, poiché credeva che fosse Giorgio. Era, invece, Olcese che si presentò con un sorriso ed una bottiglia di succo di frutta. Filippo Maria, che conosceva di vista il commissario, notò un che di forzato nel suo sorriso, come se 'dovesse' sorridere.
"Titta carissima, scusa il mio arrivo a quest'ora, ma sono qui a causa di una telefonata di Giorgio ..."
"Ma doveva essere qui già da un'ora e mezza; perché non è ancora arrivato?" lo interruppe la giovane donna.
"Stai calma; sarà qui tra una mezz'ora. Mi ha detto di venire per festeggiare la fine dell'inchiesta: dice che sa tutta la verità sul caso Spagnolo anche se, da stronzo qual'è, non mi ha voluto spiegare niente. Mi ha ordinato di portare una bottiglia di succo di frutta per festeggiare; dice che è meglio brindare con non alcolici perché avremo bisogno di tutta la nostra lucidità. Mi ha anche detto di cominciare a bere, mentre lo aspettiamo; perciò fila a prendere i bicchieri che brindiamo, sbrigati!"
Titta rimase interdetta, ma subito si alzò e tornò con cinque lunghi bicchieri.
Olcese versò il succo di pesca, accennò un brindisi e portò il bicchiere alle labbra. Poi storse la bocca.
"Accidenti, è caldo! Dai, Titta, metti la bottiglia in frigo, così, quando arrivano gli altri, è un po' più fresca".
La ragazza annuì, si alzò e si diresse in cucina.
Filippo Maria socchiuse un poco gli occhi, osservando il commissario con lampi di curiosità ed ironia nello sguardo malizioso; capiva che il poliziotto stava facendo una sceneggiata ed era curioso di capirne il perché.
Come Titta uscì dalla stanza, Olcese sembrò percorso da una scarica elettrica: mostrò brevemente il tesserino del Ministero degli Interni, che lo qualificava commissario di P.S., facendogli contemporaneamente cenno di tacere; il suo sguardo preoccupato, avrebbe fatto capire anche ad un albero che non stava scherzando. Subito dopo, estrasse da una tasca un bottiglino contenente un liquido incolore che versò nel bicchiere della sua ospite.
Finì tutte queste rapide manovre appena in tempo: si stava risedendo, quando Titta entrò nella stanza. Per i successivi cinque minuti, la conversazione si mantenne banale, ma il napoletano notò che la ragazza sembrava assopirsi.
Allo scadere del quinto minuto Olcese, raccolto tutto il suo coraggio, parlò con voce piana, col tono che si usa con un bambino non troppo intelligente.
"Sai, Titta, non è vero che mi ha mandato Giorgio".
Attese qualche istante, affinchè la giovane avesse il tempo per assimilare la sua affermazione.
"Sai, Giorgio non è venuto perché ha avuto un incidente con la macchina. Lo so che ti senti strana, mezza addormentata;

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perchè ho messo un forte calmante nella tua bibita, quando sei andata di là. Però tu mi capisci, vero?"
Il luccichio delle lacrime negli occhi della ragazza, dimostrarono che aveva afferrato il senso delle parole dell'amico.
Poi scosse delicatamente il capo, come se avesse paura che le si staccasse dal corpo e, con un filo di voce, parlò.
"Sì..., ho capito. Ma... dimmi... è... è morto,... non è vero?"
Olcese crollò il capo, sinceramente scosso dalla scomparsa dell'amico.
"Sì, è morto. La sua auto è stata urtata da un'altro veicolo e spinta contro il guard-rail. Penso che non si sia neppure accorto di morire. Io sono stato avvertito, perché gli hanno trovato il mio biglietto da visita in tasca. Adesso, però, ti devo fare una domanda; te la senti di rispondere?"
La ragazza, singhiozzando lentamente, annuì. "Stammi bene a sentire: in macchina con Giorgio, che tu sappia, c'era qualcuno, stasera?"
Titta, abbrutita dal potente calmante, annuì e farfugliò solo un nome: "Gianni".
Olcese, sconsolato, annuì tristemente. "Sai, lo pensavo, ma speravo di no. La stradale ha trovato la portiera destra aperta ed allora, probabilmente, il corpo di Gianni è stato sbalzato fuori ed è precipitato giù dal ponte".
Si passò una mano sugli occhi, come per scacciare quel punzecchìo che la stanchezza provocava sotto le palpebre; fece un sospiro desolato e parlò nuovamente.
"Sai, Titta, adesso bisognerebbe fare il riconoscimento formale del ... di Giorgio. Se te la senti, potremmo andare all'obitorio subito".
Grosse lacrime rotolavano sulle gote della ragazza e, quando annuì, Olcese capì quanto amore c'era in Titta per il suo amico.

La triste formalità non ha storia. Si trovarono tutti è tre, Filippo Maria, Titta ed Olcese, a piangere più o meno sommessamente il loro intimo.
Il commissario fu lieto che avessero lasciato scoperto solo il capo di Giorgio, che non presentava lesioni, coprendo il corpo orrendamente sfigurato.
Le emozioni, tuttavia, avevano attenuato l'effetto del calmante sulla ragazza; il commissario se ne rese conto quando, usciti ormai dall'obitorio, Titta parlò con voce ferma e decisa.
"Santo; Giorgio e Gianni sono stati assassinati!"
Il commissario trasalì visibilmente; la pioggia, spinta dalla tramontana, lo stava inzuppando nonostante l'ombrello; si sentiva avvilito, infreddolito e cascava letteralmente dal sonno. La frase della giovane, lo colpì come un asciugamano bagnato e lo lasciò stupefatto.
"Ma Titta, non vedo perché ..." "Lo vedo io: Giorgio aveva, forse, scoperto qualcosa di grave su qualcuno, così lo hanno ammazzato".
"No, lo stradale pensa che sia stato urtato da un autocarro; magari l'autista ha avuto un colpo di sonno, o era ubriaco o sa il diavolo cosa è successo; ma comunque è praticamente da escludere il dolo. Credimi, è andata così. Adesso ti accompagno a casa e mi fermo a farti un po' di compagnia: sei molto scossa e non vorrei che..."
Filippo Maria, che era stato ad ascoltare in silenzio fino ad allora, interruppe il poliziotto.
"Commissario, mi scusi, ma ho l'impressione che lei sia molto stanco. Suppongo che domani si debba presentare in questura, mentre io non ho alcun impegno. Sempre se Titta è d'accordo, potrei rimanere io a farle compagnia, mentre lei potrebbe andare a riposare".
Olcese si schernì, ma senza troppo entusiasmo: la tentazione di potersene andare a dormire era troppo forte, nonostante l'amicizia che provava per la giovane donna.

Arrivati a casa di Titta, Filippo Maria disse alla giovane di andarsene a letto. Lei aveva gli occhi arrossati dal pianto ed una cera veramente pessima. Quanto a lui, dire che si sentiva uno straccio era solo un vago eufemismo per descrivere le sue condizioni. Andò nel cucinino e preparò una camomilla; pensava che avrebbe calmato la ragazza senza, tuttavia, stordirla come un'altra somministrazione di barbiturici.
Mentre aspettava che l'infuso fosse pronto, si scoprì a valutare le teorie di Titta sulla morte di Giorgio.
I napoletani, si sa, sono gente curiosa per natura e perciò, quando portò la bevanda alla giovane donna, la domanda gli veniva spontanea. Ma si trattenne; era una di quelle persone che non fanno mai domande dirette, ma che, tuttavia, vengono a sapere ciò che gli interessa senza che l'interpellato ne abbia più che un vago sentore. Si sedette sul letto della giovane, le porse la bevanda e le carezzò i capelli con fare rassicurante.
Titta bevve la camomilla, poi lo guardò: in fondo ai suoi occhi, gravidi di lacrime, brillò la vaga ombra di un sorriso riconoscente; tuttavia il suo sguardo continuava ad essere attraversato dai fantasmi del dubbio, della paura, delle domande inespresse e si perdeva oltre la persona dell'amico.
Filippo Maria la guardò, scambiò con lei un sorriso fraterno e cercò di avere le risposte ai suoi quesiti.
"Vedi, ho l'impressione che tu abbia mille idee che ti turbinano nella mente, riguardo questa storia. Sai quanto io sia bravo a farmi gli affari miei, però pensavo che, se ora tu ti sfogassi, se mi raccontassi tutto, potremmo anche trovare un bandolo, una soluzione e poter dormire tutti e due; non credi?"
"Sì, ma cosa vuoi che ti dica?"
"Mah, per esempio, potresti farmi partecipare delle tue ansie, delle tue paure, di ciò che ti ha scosso tanto nella morte di Giorgio ..."
"Va bene; ti racconterò tutto. Dunque: devi sapere che a maggio..."

Filippo Maria, in effetti, non pensava più che l'ipotesi di Titta fosse completamente assurda, dopo che ebbe ascoltato la particolareggiata narrazione dei fatti. Erano trascorse circa due ore, da quando Titta aveva cominciato a sfogarsi.
Il giovane riflette un attimo; poi parlò.
"Se vuoi sapere come la penso, ho l'impressione che tutto giri intorno a questa ragazza, a questa Cinzia Righetti. Riflettici: Bruno Spagnolo usciva con Cinzia e muore; Giorgio ti telefona, dice che deve fare un'altra telefonata e muore nell'arco di dodici ore. D'accordo, tu dirai, chi lo dice che Giorgio ha telefonato proprio a Cinzia?; è solo una mia ipotesi, ma rifletti: a chi poteva interessare di sapere che lui aveva trovato il bandolo della matassa? O almeno: a chi poteva interessare, secondo Giorgio? Non ai genitori di Bruno, che aspettavano notizie dalla polizia; non a Olcese, altrimenti ce lo avrebbe detto. E quindi: a chi? A Cinzia, è evidente!
Anche Gianni è da escludere: quando ti ha telefonato erano, probabilmente, insieme".
"Ma Giorgio avrebbe potuto fare una telefonata a chiunque e per qualsiasi altra ragione".
"Titta, lo conosci meglio di me; lo sai che quando ha un'idea per la testa, Giorgio si dimentica ... si dimenticava perfino come si chiamava; ti sembra logico che gli venga in mente qualche altra cosa, con 'l'idea' per la testa?"
Titta annuì pensosamente e considerò valido il ragionamento del napoletano. Il quale proseguì.
"Quindi ora devo agganciare questa Cinzia e vedere un po' cosa riesco a farmi raccontare".
"Ma Pippo, che c'entri tu? Lascia perdere, non voglio che succeda qualcosa anche a te; ci mancherebbe!"
"Eh, Titta; io, 'a notte, aggie durmì!"
Filippo Maria si accorse che la donna stava lentamente scivolando nel sonno, perciò cominciò ad accarezzarle il capo dolcemente. Voleva rassicurarla, con quel gesto affettuoso e sperò che potesse passare una nottata tranquilla.

================================ Fine modulo 32 =======================================

Dopo pochi minuti, il respiro della giovane si fece più regolare e più profondo e Pippo capì che si era finalmente addormentata, dopo quella serata da incubo.
Guardò il suo Eberhard da polso e notò che erano quasi le quattro del mattino; pensò al da farsi. Decise di sedersi su una poltrona del salottino, dopo aver requisito una bottiglia di Martell ed un portacenere, e riflettere sui fatti esposti da Titta.
Si riempì una polla di cognac, si accese una Marlboro ed iniziò le sue cogitazioni.
Filippo Maria era una persona dotata di una ottima memoria, tuttavia, quando doveva riflettere, preferiva mettere, nero su bianco, appunti che gli permettevano di riordinare le idee.
Ma non era solo questa una sua particolarità; a dire il vero era 'diverso' anche per un sacco di altre cose.
Nato da una famiglia più o meno "nobbile", Filippo Maria Greco della Rovere, aveva sempre vissuto nei giri più esclusivi della Napoli che conta, nell'ambiente dei giovani leoni che avevano solo un problema: spendere denaro. Giovani i quali commettevano anche reati e spacconate criminali solo per vincere la noia. Come quella volta che fecero prostituire le loro amiche solo per farsi due risate; o quella volta che fecero la Napoli-Salerno contromano, così, "per sfizio di cazzo"; oppure ... la memoria' stava portando lontano la sua mente.
Gli venne anche in mente quando piantò la facoltà di Fisica perché si voleva sposare con una ragazza che, venne a sapere poco prima del matrimonio, era stata la gioia di decine e decine di uomini, durante il loro fidanzamento.
Ora si trovava, a causa di Elisa, scapolo convinto e con ancora tre esami per la laurea; esami che, detto per inciso, non si sognava neanche di dare.
Poi, a causa di un'epatite virale, era stato confinato sei mesi a casa e fu in quel periodo che comprese di quanto me nefreghismo erano capaci coloro i quali riteneva amici.
Così ruppe con tutti, ebbe un posto al Banco di Roma, che lo mandò a Genova, e cominciò una nuova vita.
Smise, seccato, quella parata di ricordi infausti e si alzò per cercare un notes ed una penna. Poi raccolse brevemente le idee e cominciò a scrivere.
"Dunque: noi abbiamo che: Giorgio è morto in un incidente stradale provocato da un altro conducente. Quindi i casi sono due:
1) l'incidente è di origine colposa; in tal caso si configurerebbe soltanto il reato di omissione di soccorso.
2) l'incidente è stato un omicidio premeditato. Escluderei l'omicidio preterintenzionale per ciò che Olcese ha raccontato della dinamica del sinistro e per il punto ove la 127 è andata a finire.
Annotazioni:
a) La polizia propende per la prima ipotesi; ciò mi stupisce, ma non più di tanto.
b) Il veicolo che ha sbattuto Giorgio fuori strada, doveva essere abbastanza massiccio e con un motore potente, tipo fuoristrada. Escluderei un autocarro perché, questo tipo di veicolo, non si presta a lavori di fino come questi.
c) Chi era alla guida del mezzo, doveva saperlo fare parecchio bene: Giorgio, nonostante la sua criminale maniera di guidare, non era esattamente l'ultimo cretino, al volante, ed aveva dei riflessi dannatamente buoni. Domandina: è così difficile trovare una persona che abbia una jeep e due palle così per guidarla? No, soprattutto negli ambienti 'in', per esempio.
d) L'ambiente 'in' è quello nel quale sembrano muoversi un sacco di personaggi di questa storia: Bruno Spagnolo e Cinzia Righetti, tanto per citarne due a caso.
A questo punto, potrebbe essere estremamente interessante conoscere questa misteriosa Cinzia: era la ragazza di Spagnolo (morto) e amica di Giorgio (morto pure lui! Ma quella porta proprio jella!). E' probabile che, partendo da lei, si possa trovare il bandolo di questa incasinata matassa. Titta, inoltre mi ha raccontato di quella strana ultima telefonata, di quella faccenda dei denti: cosa c'entrano i denti? I denti di chi? Perché?
Titta pensa che i denti siano in relazione con il caso Spagnolo. Ragioniamo con calma. Se i denti hanno qualcosa di particolarmente notevole, presumendo che i denti siano quelli del morto, ci sarà qualcos'altro di altrettanto interessante, probabilmente un qualcosa che, considerato come pilastro dell'indagine, si rivela, invece, essere totalmente diverso. In linea teorica, quindi: se il morto è stato identificato per Bruno Spagnolo grazie a due otturazioni dentarie; se, però, c'è qualcosa di rilevante nei denti (potrebbero, per esempio, essere diversi da come ci si aspettava che fossero!), allora il morto potrebbe non essere lui! E allora chi madonna è? Non è importante; l'importante è sapere se il morto è o non è quell'accidente di Bruno Spagnolo. E', però, probabile che Spagnolo sia ancora vivo; altrimenti, perché Giorgio sarebbe stato così eccitato, al telefono? E inoltre: se il morto non è Bruno, anche se tutta la messinscena lo lascerebbe credere, è molto probabile che l'assassino sia lo stesso Bruno Spagnolo!
Questa storia è un casino dei più turpi; abbiamo un incidente che non è un incidente, un morto che non è morto, le indagini fatte fino a questo punto che non sono, quindi, le indagini su un morto, bensì su un vivo. Tutte queste cose non vanno! Bisogna ricominciare daccapo: qualcuno si deve essere divertito un sacco, ad incasinare tutto.
Un momento! Sarebbe anche interessante sapere se Titta non si è messa a raccontare delle ricche balle; in molti casi la tensione nervosa può portare, anche il più equilibrato degli individui, a dare corpo alle ombre che popolano la propria fantasia.
Bisogna chiederle daccapo tutto, quando si sveglia, per vedere se conta delle storie o se è sempre convinta di quello che dice. E inoltre bisogna considerare che ..."
Filippo Maria si mosse bruscamente sulla poltrona e scivolò in terra. Si doveva essere assopito, dopo aver passato parecchio tempo a riflettere sulla tragica morte dell'amico.
Si sentiva la bocca come se, giorni prima, ci fosse entrato qualcuno a morirci dentro: causa del troppo cognac e delle troppe sigarette fumate nella nottata.
Si alzò in piedi e fu preso da una leggera vertigine; si sentiva, inoltre, un cerchio alla testa da far paura. Giurò che non avrebbe fumato mai più e, per confermare il giuramento, si accese subito una Marlboro.
Poi la guardò disgustato, maledisse le sue abitudini tabagistiche e decise che, per poter affrontare un'altra volta il mondo dei vivi, necessitava di un caffè come dio comanda.
L'orologio della cucina, lo informò che erano passate da poco le undici del mattino. Un'occhiata fuori dalla finestra gli fece rimpiangere il caldo sole di Napoli: stava piovendo, tanto per cambiare.
L'acquerugiola gli fece ricordare una battuta che Giorgio ripeteva troppo sovente, per far ridere ancora: "Genova è come Londra: ci piove solo due volte all'anno. Il guaio è che, ogni volta, dura sei mesi!" La sua bocca si storse in un'imitazione di sorriso triste, al ricordo dell'amico scomparso.
Cercò, negli sportelli della credenza, la caffettiera e fu piacevolmente sorpreso nel trovarvi anche una 'napoletana' che caricò e mise prontamente sul fuoco.
La casa di Titta era in una zona tranquilla, sulle alture alle spalle della città, e raramente si sentiva passare un veicolo sulla strada. Perciò Filippo Maria, non ebbe difficoltà a sentire un cigolìo proveniente dalla camera da letto della giovane. Mise dentro la testa e sentì nuovamente il cigolìo della rete del letto; Titta si stava per svegliare.

La giovane aprì gli occhi, svegliata dall'ottimo aroma del caffè, che aveva invaso l'appartamento.

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