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Sapore di clinto (ottava parte)

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'Ma questa vuole la guerra! Lasciamola sfogare'. "No, perché voglio scoprire chi è quel figlio di puttana che mi è andato a fare lo scherzetto della ruota". "Sì, ma se non fosse stato per i begli occhi di Cinzia non ti sarebbe successo!"
Due minuti dopo, Titta era fuori dalla porta dell'appartamento di Giorgio; non ricordava, esattamente, cosa fosse successo: solo che era stata scaraventata fuori da Giorgio, evidentemente in giornata no anche lui, e che, dopo pochi secondi, la porta si era aperta nuovamente e le era arrivata addosso la borsetta. Decise che, per quella sera, era meglio andarsene a casa.
Giorgio, irritato per l'inutile attacco di gelosia della ragazza, la mandò mentalmente al diavolo e, scelto un libro dalla sua biblioteca, lo rilesse per la terza volta.
Il giorno dopo, col turno mattutino, Giorgio rientrò al lavoro: la convalescenza era ormai finita.
Verso le nove, venne chiamato negli uffici della direzione di stabilimento e lui, riflettendo su quella inaspettata convocazione, raggiunse la palazzina dei 'piccoli padri'.
Convocato dal dottor Milani, capo del personale, entrò nel suo ufficio e venne invitato a sedersi.
"Si accomodi, Zanelli! Finalmente la faccenda è andata in porto e lei partirà il sei luglio ..." "Per andare dove, mi scusi?"
"Ma per il Pireo, in Grecia! Non ricorda che in aprile le avevo proposto questa trasferta e che lei l'aveva accettata? Purtroppo, a causa delle solite cose, la faccenda è andata per le lunghe e, quindi, partirà solo tra una settimana".
Giorgio ricordò: a gennaio, Milani gli aveva proposto di recarsi in Grecia, presso le acciaierie Halyvurghiky, per addestrare i greci a realizzare una determinata modifica agli impianti e lui, fesso, aveva accettato. Ma era passato così tanto tempo che aveva completamente dimenticato la faccenda; così adesso, nel cuore dell'estate, veniva spedito al Pireo, vicino ad Atene, per vendere quel maledetto know-how a quei deficienti di greci. Maledì la Grecia, Milani, la società ed il giorno che era stato assunto con tutto il sentimento.
"Ma ingegnere ... e le mie ferie?" Milani si strinse nelle spalle, fece un mezzo sorriso e disse: "Le farà quest'inverno, così andrà in montagna; ho sentito dire che lei è un appassionato di montagna, non è vero? Pensi che magnifiche discese si farà, sulle piste di una qualche località sciistica!"
Giorgio pensò, brevemente, di spiegare al dirigente che lui amava sì la montagna, ma in estate, per fare del campeggio e delle escursioni. Da quando aveva fatto delle guardie intorno ai venti sottozero, durante il servizio militare, odiava il freddo e la neve con tutta l'anima. Inoltre era assolutamente negato, per sciare, e non capiva che gusto ci si trovasse a scivolare giù per una montagna con due strisce di plastica ai piedi, correndo anche il rischio di rompersi diverse ossa così, senza difese. Ma rinunciò alle spiegazioni: poteva anche piangere in cinese, tanto il viaggetto in Grecia non glielo levava neanche il padreterno.
Annuì e mormorò un "d'accordo", che sembrava il mesto "obbedisco" di garibaldina memoria.
"Bene, passerà dalla mia segretaria, che le illustrerà il lato finanziario della sua trasferta e le darà il biglietto aereo. Tornerà il quattro ottobre". Lo guardò come un pitone può guardare un coniglio già iscritto sul proprio menù. "Dimenticavo: da dopodomani sarà in permesso retribuito per prepararsi alla partenza. Vada pure".
L'udienza era finita e Giorgio raggiunse la porta con l'aria triste ed il passo strascicato di chi si reca al patibolo. Aveva già aperto la porta, quando a Milani venne la 'domanda-dell'ultimo-minuto', suo deprecabile vizio.
"Zanelli, in montagna cosa usa, dei Rossignol?"
'Questo mi sfotte: adesso torno indietro e gli dò un pugno nei denti!' Ma si calmò, fece un sorriso sghembo e rispose:
"No, una Callegari & Ghigi a tre posti!"
Chiuse la porta sull'espressione stranita dell'ingegnere. Con la segretaria del boss, riuscì a far durare la definizione dei particolari fino alle undici. Con una breve visita ai suoi amici dell'infermeria, fece arrivare l'ora di apertura della mensa; dopo pranzo, così, gli rimasero altre tre ore per maledire la Grecia, i greci, la fabbrica e tutto ciò che gli passava per la mente.
Alle sette e mezza di quella sera, Titta e Gianni raggiunsero l'abitazione di Giorgio, convocati da questi.
Preparò 'penne alla paesana' e 'melanzane alla parmigiana', tra il goloso stupore dei due invitati. I due giovani capivano che Giorgio non li aveva invitati per un'esibizione delle sue capacità culinarie bensì, lo intuivano dalla complessità di preparazione del pasto, per una spiegazione od un altro motivo altrettanto importante che non il piacere di stare semplicemente con l'amico e la ragazza.
Durante la preparazione dei piatti Giorgio ignorò, deliberatamente, le ansiose domande sui motivi di quella che sembrava essere una 'cena informativa'. Solo dopo che ebbero bevuto il caffè, acceso le sigarette e sorseggiato il proprio liquore 'ammazzacaffè', il giovane svelò il segreto: il viaggio in Grecia.
Dire che Titta accolse male la notizia è, probabilmente, un mite eufemismo: i suoi commenti alla novità, infatti, scandalizzarono decisamente i due amici.
Quando il turbinoso torrente di invettive della ragazza si ridusse ad uno stentato stillio di parole meno virulente, Giorgio osò interromperla e si rivolse a Gianni.
"Gianni, mi raccomando: senza di me non fare assolutamente niente, riguardo al fu Spagnolo; devi unicamente cercare di proteggere Tiziana da qualunque strascico la cosa possa avere. Anche tu, Titta, cerca di evitare d'infilarti in qualche fogna; stai molto attenta, per esempio, di non avere macchine che ti seguono. Nel caso, ricordati che ..."
Dopo una ventina di minuti di 'per esempio' vari, Giorgio considerò accettabilmente completa la cultura della ragazza e smise, anche perché Titta, nel frattempo, gli si era avvicinata e
aveva cominciato a strofinarglisi addosso, come fanno i gatti; era evidente che voleva trascorrere un po' di tempo in intimità con il giovane. Così evidente che Gianni, adducendo un nebuloso pretesto, ringraziò dell'ottima cena e tolse il disturbo.
Pochi minuti dopo, finito il corso intensivo sull'autodifesa attiva e passiva, parte teorica, passarono alla pratica del corpo-a-corpo, anche se, ad onor del vero, nessuno dei due cercava di difendersi dagli attacchi dell'altro, anzi...!
Quante cose da fare, quando si deve partire! Pagare i conti, salutare amici e parenti, preparare una lista delle cose da portare, e poi un'altra, ed ancora una più perfezionata.
Arrivò all'aereoporto Cristoforo Colombo alle nove e tre quarti di una piovosa giornata di luglio, da solo. Aveva insistito perché Titta e Gianni non lo accompagnassero: odiava i saluti, i mi-raccomando-scrivi e tutte quelle cose che, pur fatte in buona fede, assomigliano maledettamente troppo ai funerali.
Così, solo ed un po' triste, prese posto su una poltrona del velivolo, allacciò la cintura di sicurezza, resistette stoicamente alla tremenda voglia di fumare provocata, probabilmente, dalla scritta 'vietato fumare-no smoking' illuminata e, dopo qualche minuto, venne schiacciato contro lo schienale dall'accelerazione bruschissima del velivolo.
Una breve corsa sulla pista, poi l'aereo s'innalzò e guadagnò quota con un'angolo di salita incredibile. Dopo soli due minuti, Genova era una vaga distesa di tetti d'ardesia molti chilometri sotto e dietro di lui.
Un'oretta -scarsa- più tardi, venne raggiunto l'aeroporto di Fiumicino, dove Giorgio dovette aspettare per circa due ore il volo per la capitale ellenica. Infine, il balzo sul mediterraneo e l'inizio della sua permanenza in Grecia.

================================ Fine modulo 22 =======================================

Quella stessa sera, ad Atene, cercò di rovinarsi telefonando a Titta; fu una telefonata brevissima, ma il cui costo equivalse, quasi, a quello della lauta ed ottima cena.
Quando Olcese terminò le sue ferie, piovose oltre ogni maligna previsione, chiamò immediatamente Mendolia e si assicurò che avesse seguito puntigliosamente il suo ordine, non indagando su "tali Giorgio e Gianni"; dopo di che, con mossa rapace, s'impadronì della cornetta del telefono e, mormorando parole decisamente oscene, compose il numero di Giorgio.
Ovviamente non trovò nessuno, ma non si scoraggiò; provò, riprovò e provò ancora, fino a che ebbe l'impressione che il segnale di libero lo sfottesse.
Arrivato a casa, provò a suonare alla porta dell'amico, ma il campanello non produsse alcun suono. Così, entrato nel suo appartamento, decise di telefonare a Tiziana; il telefono, però, dette innumerevoli segnali di libero, ma senza che nessuno si degnasse di rispondere: come tutte le volte che aveva urgenza di mettersi in contatto con qualcuno, maledizione!
Verso le undici di quella sera, i suoi numerosi tentativi furono coronati da successo e potè, finalmente, sentire la gradevole voce di Titta.
"Ciao, come va? ... sì, sono tornato ierisera, tardissimo ... mah, così-così ... senti un po': che fine ha fatto Giorgio? Ho suonato da lui e c'era il campanello staccato ... in Grecia? e cosa cavolo c'è andato a fare? Per farmi incazzare, c'è andato!!! ... ah, per lavoro! ... e quando torna? ... il quattro ottobre?!?! ... ma porca di quella ... no, no, non ho detto niente: stavo pensando ad alta voce ... senti, gli devo parlare assolutamente ... no, no, a voce ... fammi sapere assolutamente quando, dove ed a che ora arriva: la prima persona con la quale deve parlare, appena torna, sono io ... sì, addirittura prima di te ... c'è che mi ha combinato un casino dei suoi e voglio avere, quanto prima possibile, delle spiegazioni ... va be', ciao e fatti sentire ... ah, senti... e dì a Gianni di non fare assolutamente niente; ciao!"
Quel disgraziato! Il quattro ottobre, tornava! Fuori dalla grazia di dio, voleva mandarlo!
I tre mesi non hanno storia: lavoro, caldo, parecchie lettere ("caro amore mio, vorrei che tu fossi qui... mi manchi tanto ..." "... da quando sei partito, mi sembra che manchi tutto: le nostre dolci idiozie, le nostre cenette, le nostre gite ..."), qualche squallida avventura, tanta nostalgia, qualche giro da turista tra le rovine della culla della civiltà.
Ma il tempo, a dispetto delle impressioni di Giorgio, scorreva sempre col medesimo, implacabile ritmo; perciò anche il quattro ottobre arrivò.
Qualche piacevole ora di volo, i sobbalzi dell'aereo dentro e fuori le buche dell'aereoporto di Genova e, al di là della barriera della dogana, Titta che salutava ed urlava il suo nome: era a casa!
Giorgio si era pregustato quel bacio per tre lunghi mesi; ora vedeva Titta, le sue labbra piene e sentiva, quasi, il suo sapore.
Avanzò lentamente, in coda, verso il finanziere per la rituale domanda che tutti i doganieri del mondo fanno ("Niente da dichiarare?" "Una stecca di sigarette ed una bottiglia di liquore". "Passi pure"); dopo questa formalità, trascinò il suo valigione verso il cancello, lo superò, posò i bagagli in terra e mise le mani sulle spalle di lei, osservandola per una frazione di secondo, sentendo il suo profumo, l'odore dei suoi capelli inumiditi dalla pioggia, del suo corpo che aveva ardentemente desiderato per quei lunghi mesi; l'attirò a sé e la baciò: un bacio appassionato, di una dolcezza infinita, un bacio nel quale i loro corpi si urlavano il desiderio reciproco e le loro anime si sussurravano il rispettivo amore. Giorgio si staccò per riprendere fiato e avrebbe ricominciato subito da capo, se non si fosse accorto di una terza mano sulle sue spalle. Girò la testa seguendo, con lo sguardo, il braccio estraneo, fino all'estraneo corpo e, alla fine, scoprì che il tutto apparteneva al commissario Olcese.
"Okei, campione; adesso che hai finito di fare le salutazioni con l'amata, vieni un po' a fare due chiacchiere con papa Antonio".
Giorgio sollevò le sopracciglia con fare gioiosamente stupito, ma la sua espressione festosa venne raggelata dal tono freddo, anzi glaciale, della voce del commissario.
"Cosa c'è, Toni, qualche fogna?"
"Monta in macchina, che ne parliamo". Disse Olcese, indicando col pollice il parcheggio dell'aerostazione e voltandosi, lo precedette verso la Kadett sul piazzale.
Giorgio lo seguì, sotto una pioggerella fastidiosa e discretamente fredda. Confidando nel bel tempo trovato in Grecia e sperando in una temperatura decisamente più mite, era vestito con abiti leggeri e, grave dimenticanza, senza impermeabile; questa fu la ragione per la quale si trovò, una volta seduto nell'auto del commissario, grondante d'acqua gelida. Con uno sguardo triste, contemplò le sue scarpe estive, da quarantacinque mila lire, irrimediabilmente rovinate.
"Allora, spaccaballe, cosa vuoi? Perché mi vieni a rompere le scatole, proprio quando ho Titta vicino, dopo tre mesi di lontananza?"
"Abbassa la cresta, ragazzo, altrimenti ti rompo le corna! Con me usi un altro tono, hai capito? Mi combini dei casini inenarrabili e pretendi ancora di aver ragione tu; ma, se ti può interessare, sappi che sei indiziato di reato: hai nascosto informazioni riguardanti un'indagine di polizia. Adesso, perciò, decideremo se te ne vai a dormire a casa o a Marassi, stanotte".
Giorgio rimase come schiaffeggiato da ciò che il commissario gli aveva detto; ricordava la telefonata di Titta, che gli aveva riferito quanto Olcese lo avesse cercato e quanto volesse parlargli, ma non immaginava una piega così drammatica degli avvenimenti.
Olcese, dal canto suo, aveva ottenuto l'effetto voluto: farsi ascoltare con calma ed in silenzio.
"Ora che ti sei calmato, ascoltami bene; la sera del ventisette giugno, tu e quell'altro disgraziato ... come si chiama quella testa d'agnello del tuo socio napoletano?" "Vuoi dire Gianni Cacino?"
Il commissario fece un sorriso denso di gratitudine, poi ricordò che era lì per rimproverare l'amico e assunse di nuovo l'espressione truce, uso ufficio.
"Sì, esatto, Gianni Cacino! Bene: tu e Gianni, quella sera, siete andati al Tonitto ad interrogare un certo Aldo Paure, urlando come dei dannati e facendovi sentire nel raggio di trecento metri e ..." "Fermati un attimo! E tu, come l'hai saputo?" Giorgio, anche se era stato calmato dall'effetto della sfuriata iniziale, non aveva dimenticato l'irritazione, la stanchezza, la ragazza abbandonata, le scarpe rovinate; perciò non aveva completamente rinunciato al tono aggressivo.
"Così l'ho saputo, stronzo fottuto!"
Il giovane si scostò, istintivamente, dal foglio che il commissario gli agitava davanti agli occhi; poi lo prese, accese la luce interna e cominciò, con calma olimpica, a leggere il rapporto di Mendolia. Alla fine della lettura, venne assalito dall'amico.
"Allora, stronzo, hai letto? Per fortuna che era il mio vice e sono riuscito a tappargli la bocca, ma se ti beccava qualcun altro non la passavamo liscia, né tu né io!"
Giorgio si passò, stancamente, la punta dell'indice sul dorso del naso, chiuse gli occhi e si lisciò lentamente i baffi. Quando parlò il suo tono era stanco, ma calmo.
"Analizziamo le cose con calma. Primo: cosa c'è di vero sul fatto che sarei indiziato di reato?" "Beh, diciamo niente ... però, se non te lo dicevo, mi mandavi al diavolo immediatamente e te ne andavi a dormire".

================================ Fine modulo 23 =======================================

"Preferisco non fare commenti: non voglio rompere un'amicizia. Passiamo ad altro. Secondo: perché hai paura che i tuoi colleghi lo vengano a sapere, che mi interesso al caso? Il pretesto dell'incontro è specificato: sono amico di Cinzia... e lo sono veramente, detto per inciso".
"Perché, se avessero indagato sul tuo conto, avrebbero scoperto che siamo amici. Non ci sarebbe nulla di male, in questo, se non che, guarda che combinazione, il funzionario incaricato delle indagini sono io; ti basta?"
"No, non mi basta, ma fa lo stesso. Terzo punto: cosa avrei nascosto alla polizia?"
"Il fatto che Bruno Spagnolo fosse un finocchio!" "Guarda che questa è solo una mia ipotesi; fatta, bada bene, nonostante l'autopsia affermasse il contrario. L'ipotesi l'abbiamo fondata sul fatto che Bruno Spagnolo potesse essere solo un finocchio attivo, caso che avrebbe messo d'accordo i risultati dell'autopsia con la nostra ipotesi. Da far notare, infine, che questa idea non ci ha portato a niente di costruttivo, nonostante il nostro impegno. E dimenticavo: voi avete scartato al volo questa ipotesi, quindi cosa vieni a rompere?"
"Vuoi anche un biglietto di scuse e congratulazioni?" "Sarebbe simpatico, da parte tua".
"Ma vatti a far friggere! Ringraziamo solo il ciclo che Mendolia non ti conosce, sennò sai le domandine del cavolo che mi tirava fuori, quello!"
Il commissario tacque, assalito dalla stanchezza; pensò un accidente all'indirizzo dell'amico: ma guarda un po' se uno doveva tornare a Genova col volo di mezzanotte.
Sentiva la pioggia che picchiettava, dolcemente, sul tetto dell'auto e si sentì triste, vecchio e solo. Aveva sposato il suo amore di tutta una vita: la polizia, l'ordine; cosa aveva ottenuto da quella dispotica megera? Calci in faccia, frustrazione e solitudine; nient'altro. Sognò per un attimo una casa tiepida, una moglie affettuosa ed un suo figlio che si faceva aiutare a fare i compiti. Fu un attimo, poi ridiventò il funzionario di polizia.
"Ma cosa speravi di ottenere, ad andare ad interrogare gente che avevamo già sentito noi?"
"E cosa dovevo, andare nei vespasiani coi finocchi fino a quando qualcuno mi veniva, candidamente, a raccontare che lui occupava il suo tempo libero ad ammazzare tutti i Bruno di questo mondo?"
"Sì, forse hai ragione; scusami, ma sono stanco e straparlo. Beh, ti lascio tornare alla tua infernale Titta e me ne vado a nanna, che faccio fatica a tenere gli occhi aperti. Buonanotte".
"No, no, aspetta, ho un'idea: perché non mi impresti Mendolia, per le indagini? Così avrei uno straccio di copertura legale".
"Ma tu sei scemo nella testa! Ma figuriamoci, imprestarti Mendolia! Manco fosse un cavallo! E poi, imprestartelo, vorrebbe dire essere spedito a Lampedusa rapido come il vento! Toglitelo dalla testa!"
"Va bene, adesso ce ne andiamo a dormire, ma tu riflettici con calma e, domattina, mi saprai dire. Buonanotte, Santo".
Venti minuti dopo, Olcese si rigirava nel letto, riflettendo sulla folle proposta dell'amico. "Imprestargli Mendolia! Ma quello è scemo del tutto! Ma figuriamoci: mai sentita una cazzata simile; quello, in Grecia, ci ha lasciato il cervello!"
Quanto a Giorgio e Titta, a quell'ora si trovavano a casa di lui, sotto una calda coperta, a sussurrarsi dolci cose idiote ed a fare le fusa come due gattini, felici di essere ancora insieme.
Il giorno dopo, Giorgio si svegliò che era da poco passata l'una. Avrebbe dormito volentieri ancora, ma si ricordò di aver detto ad Olcese che sarebbe passato da lui.
Si alzò, preparò un pasto leggero (la previdente Titta gli aveva rifornito il frigo!), poi fece la doccia, si sbarbò con cura e si vestì con quella distratta eleganza che lo faceva sentire sicuro di sé. Infine prese la pipa, che fumava raramente, e, dopo averla caricata ed accesa, uscì di casa.

Si recò, per prima cosa, dall'amico presso il quale aveva lasciato la 127 per le riparazioni ed il rimessaggio; raccontò brevemente le sue avventure elleniche ("Ma le greche, sì, insomma, ci stanno?" "Sapessi ..."), pagò il conto e, tornato dopo lunghi mesi al volante della sua auto, la portò sotto casa e la parcheggiò in zona-merci, non trovando di meglio. Da lì percorse a piedi i trecento metri che lo separavano dalla Questura e salì all'ufficio del commissario.
Olcese stava finendo di interrogare un giovane con l'aria tanto perbene, ma che aveva avuto la brutta abitudine di andare negli uffici postali munito, anziché di regolare vaglia, di una Beretta calibro nove, esibendo la quale si impadroniva dell'incasso della giornata.
Quel rapinatore solitario, era stato l'incubo della squadra mobile per più di un anno, ma ora "... era stato assicurato alla Giustizia ... " come si sarebbe letto sui giornali " ... grazie al valido servizio anti-crimine organizzato dalla Questura di Genova".
Un accidenti! Un colpo di fortuna dell'accidenti, era stato! Quel fesso, uscendo dall'ufficio postale di via San Fruttuoso, era andato a sbattere proprio contro un agente che stava entrando nella latteria accanto per farsi un cappuccino: ecco come il servizio anti-crimine "aveva colto un altro successo".
E tanto non sarebbe servito a niente, stava riflettendo Olcese, un buon avvocato sarebbe riuscito a farlo scarcerare dopo, al massimo, due o tre anni.
Con queste tetre considerazioni che gli mulinavano per la testa, dovette trattenersi per non dare a faccia-d'angelo un bel cazzottone sui denti, mentre gli faceva firmare il verbale.
Due poliziotti avevano appena afferrato le braccia del giovane rapinatore, per condurlo di nuovo in cella, quando la porta si aprì e Giorgio mise dentro la testa.
"Vedo che sei occupato, passo dopo".
"No, no, spaccaballe; vieni pure, che tanto il signore è servito. Mendolia, lei rimanga".
II brigadiere non degnò di risposta il commissario: stava guardando, con occhi sgranati, il nuovo arrivato ; alla fine, quando si convinse che il giovane non era frutto di un'allucinazione, si chinò verso il superiore e fece per sussurrargli qualcosa nell'orecchio.
"Sì, lo so, è quello del Tonitto; stia calmo e non si agiti, che glielo presento. Giorgio, ti presento il brigadiere Antonio Mendolia, mio assistente; brigadiere, questo qui è Giorgio Zanelli; mio buon amico, anche se mi fa dannare. Tu siediti, impiastro; brigadiere, quanto a lei, le devo delle spiegazioni. Vede, Mendolia; quando lei ha incontrato Zanelli al Tonitto, lui stava facendo, per conto suo, delle indagini sul caso Spagnolo. Le voglio spiegare come è nata la cosa: un giorno ci siamo trovati a chiacchierare sul caso; avendo sentito parlare di Cinzia Righetti, Giorgio mi aveva detto che era una sua intima amica. Così mi ha chiesto, siccome gli avevo confessato che non eravamo giunti a capo di niente, se mi avrebbe dato fastidio se, anche lui, si fosse messo a riflettere sulla cosa ed, eventualmente, suggerire qualche ipotesi. Io gli avevo detto che, se proprio non aveva niente di meglio da fare ... Beh, insomma, evidentemente ha interpretato il mio placet in senso ... molto lato, ecco! E così è successo quello che è successo. Così, quando lei mi ha mandato quel rapporto, mi è venuto un accidente: sapevo di doverle delle spiegazioni, ma volevo dargliele di persona e con Zanelli presente. Purtroppo lui è stato all'estero ed è rientrato solo ieri sera: così le spiegazioni le ha avute solo adesso.
Ed ora sentiamo cosa hai scoperto, incosciente!"
Il rapido sorriso di Olcese mitigò l'insulto, rendendolo quasi affettuoso.
Giorgio fece un vago sorriso, si grattò, con calma, la punta del naso e si schiarì la gola; poi parlò.
"Beh, non ho concluso granché: mi sono trovato a parlarne con Gianni Cacino, un mio amico, tanto per sentire anche un'altra campana. Riflettendo con calma, abbiamo pensato che l'unico

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