Quella stessa sera, ad Atene, cercò
di rovinarsi telefonando a Titta; fu una telefonata brevissima, ma il
cui costo equivalse, quasi, a quello della lauta ed ottima cena.
Quando Olcese terminò le sue ferie, piovose oltre ogni maligna
previsione, chiamò immediatamente Mendolia e si assicurò
che avesse seguito puntigliosamente il suo ordine, non indagando su "tali
Giorgio e Gianni"; dopo di che, con mossa rapace, s'impadronì
della cornetta del telefono e, mormorando parole decisamente oscene, compose
il numero di Giorgio.
Ovviamente non trovò nessuno, ma non si scoraggiò; provò,
riprovò e provò ancora, fino a che ebbe l'impressione che
il segnale di libero lo sfottesse.
Arrivato a casa, provò a suonare alla porta dell'amico, ma il campanello
non produsse alcun suono. Così, entrato nel suo appartamento, decise
di telefonare a Tiziana; il telefono, però, dette innumerevoli
segnali di libero, ma senza che nessuno si degnasse di rispondere: come
tutte le volte che aveva urgenza di mettersi in contatto con qualcuno,
maledizione!
Verso le undici di quella sera, i suoi numerosi tentativi furono coronati
da successo e potè, finalmente, sentire la gradevole voce di Titta.
"Ciao, come va? ... sì, sono tornato ierisera, tardissimo
... mah, così-così ... senti un po': che fine ha fatto Giorgio?
Ho suonato da lui e c'era il campanello staccato ... in Grecia? e cosa
cavolo c'è andato a fare? Per farmi incazzare, c'è andato!!!
... ah, per lavoro! ... e quando torna? ... il quattro ottobre?!?! ...
ma porca di quella ... no, no, non ho detto niente: stavo pensando ad
alta voce ... senti, gli devo parlare assolutamente ... no, no, a voce
... fammi sapere assolutamente quando, dove ed a che ora arriva: la prima
persona con la quale deve parlare, appena torna, sono io ... sì,
addirittura prima di te ... c'è che mi ha combinato un casino dei
suoi e voglio avere, quanto prima possibile, delle spiegazioni ... va
be', ciao e fatti sentire ... ah, senti... e dì a Gianni di non
fare assolutamente niente; ciao!"
Quel disgraziato! Il quattro ottobre, tornava! Fuori dalla grazia di dio,
voleva mandarlo!
I tre mesi non hanno storia: lavoro, caldo, parecchie lettere ("caro
amore mio, vorrei che tu fossi qui... mi manchi tanto ..." "...
da quando sei partito, mi sembra che manchi tutto: le nostre dolci idiozie,
le nostre cenette, le nostre gite ..."), qualche squallida avventura,
tanta nostalgia, qualche giro da turista tra le rovine della culla della
civiltà.
Ma il tempo, a dispetto delle impressioni di Giorgio, scorreva sempre
col medesimo, implacabile ritmo; perciò anche il quattro ottobre
arrivò.
Qualche piacevole ora di volo, i sobbalzi dell'aereo dentro e fuori le
buche dell'aereoporto di Genova e, al di là della barriera della
dogana, Titta che salutava ed urlava il suo nome: era a casa!
Giorgio si era pregustato quel bacio per tre lunghi mesi; ora vedeva Titta,
le sue labbra piene e sentiva, quasi, il suo sapore.
Avanzò lentamente, in coda, verso il finanziere per la rituale
domanda che tutti i doganieri del mondo fanno ("Niente da dichiarare?"
"Una stecca di sigarette ed una bottiglia di liquore". "Passi
pure"); dopo questa formalità, trascinò il suo valigione
verso il cancello, lo superò, posò i bagagli in terra e
mise le mani sulle spalle di lei, osservandola per una frazione di secondo,
sentendo il suo profumo, l'odore dei suoi capelli inumiditi dalla pioggia,
del suo corpo che aveva ardentemente desiderato per quei lunghi mesi;
l'attirò a sé e la baciò: un bacio appassionato,
di una dolcezza infinita, un bacio nel quale i loro corpi si urlavano
il desiderio reciproco e le loro anime si sussurravano il rispettivo amore.
Giorgio si staccò per riprendere fiato e avrebbe ricominciato subito
da capo, se non si fosse accorto di una terza mano sulle sue spalle. Girò
la testa seguendo, con lo sguardo, il braccio estraneo, fino all'estraneo
corpo e, alla fine, scoprì che il tutto apparteneva al commissario
Olcese.
"Okei, campione; adesso che hai finito di fare le salutazioni con
l'amata, vieni un po' a fare due chiacchiere con papa Antonio".
Giorgio sollevò le sopracciglia con fare gioiosamente stupito,
ma la sua espressione festosa venne raggelata dal tono freddo, anzi glaciale,
della voce del commissario.
"Cosa c'è, Toni, qualche fogna?"
"Monta in macchina, che ne parliamo". Disse Olcese, indicando
col pollice il parcheggio dell'aerostazione e voltandosi, lo precedette
verso la Kadett sul piazzale.
Giorgio lo seguì, sotto una pioggerella fastidiosa e discretamente
fredda. Confidando nel bel tempo trovato in Grecia e sperando in una temperatura
decisamente più mite, era vestito con abiti leggeri e, grave dimenticanza,
senza impermeabile; questa fu la ragione per la quale si trovò,
una volta seduto nell'auto del commissario, grondante d'acqua gelida.
Con uno sguardo triste, contemplò le sue scarpe estive, da quarantacinque
mila lire, irrimediabilmente rovinate.
"Allora, spaccaballe, cosa vuoi? Perché mi vieni a rompere
le scatole, proprio quando ho Titta vicino, dopo tre mesi di lontananza?"
"Abbassa la cresta, ragazzo, altrimenti ti rompo le corna! Con me
usi un altro tono, hai capito? Mi combini dei casini inenarrabili e pretendi
ancora di aver ragione tu; ma, se ti può interessare, sappi che
sei indiziato di reato: hai nascosto informazioni riguardanti un'indagine
di polizia. Adesso, perciò, decideremo se te ne vai a dormire a
casa o a Marassi, stanotte".
Giorgio rimase come schiaffeggiato da ciò che il commissario gli
aveva detto; ricordava la telefonata di Titta, che gli aveva riferito
quanto Olcese lo avesse cercato e quanto volesse parlargli, ma non immaginava
una piega così drammatica degli avvenimenti.
Olcese, dal canto suo, aveva ottenuto l'effetto voluto: farsi ascoltare
con calma ed in silenzio.
"Ora che ti sei calmato, ascoltami bene; la sera del ventisette giugno,
tu e quell'altro disgraziato ... come si chiama quella testa d'agnello
del tuo socio napoletano?" "Vuoi dire Gianni Cacino?"
Il commissario fece un sorriso denso di gratitudine, poi ricordò
che era lì per rimproverare l'amico e assunse di nuovo l'espressione
truce, uso ufficio.
"Sì, esatto, Gianni Cacino! Bene: tu e Gianni, quella sera,
siete andati al Tonitto ad interrogare un certo Aldo Paure, urlando come
dei dannati e facendovi sentire nel raggio di trecento metri e ..."
"Fermati un attimo! E tu, come l'hai saputo?" Giorgio, anche
se era stato calmato dall'effetto della sfuriata iniziale, non aveva dimenticato
l'irritazione, la stanchezza, la ragazza abbandonata, le scarpe rovinate;
perciò non aveva completamente rinunciato al tono aggressivo.
"Così l'ho saputo, stronzo fottuto!"
Il giovane si scostò, istintivamente, dal foglio che il commissario
gli agitava davanti agli occhi; poi lo prese, accese la luce interna e
cominciò, con calma olimpica, a leggere il rapporto di Mendolia.
Alla fine della lettura, venne assalito dall'amico.
"Allora, stronzo, hai letto? Per fortuna che era il mio vice e sono
riuscito a tappargli la bocca, ma se ti beccava qualcun altro non la passavamo
liscia, né tu né io!"
Giorgio si passò, stancamente, la punta dell'indice sul dorso del
naso, chiuse gli occhi e si lisciò lentamente i baffi. Quando parlò
il suo tono era stanco, ma calmo.
"Analizziamo le cose con calma. Primo: cosa c'è di vero sul
fatto che sarei indiziato di reato?" "Beh, diciamo niente ...
però, se non te lo dicevo, mi mandavi al diavolo immediatamente
e te ne andavi a dormire".
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Fine modulo 23 =======================================
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