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Sapore di clinto (decima parte)

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"Riepilogando: finora abbiamo saputo che Bruno Spagnolo è stato ammazzato con un colpo di tubo in faccia o, per meglio dire, sul collo; che la direzione del colpo, la forza con la quale è stato vibrato ed un pacco di altri particolari, hanno permesso di stabilire che è stato ucciso da una persona di sesso maschile o, al limite, da una donna particolarmente robusta; che l'assassino era alto, più o meno, quanto lui. Questo, tra l'altro, esclude Schiavoni, il quale è notevolmente più basso di Bruno. Inoltre sembra che l'omicidio non fosse premeditato, vista l'arma, ma che chi ha preso quel pezzo di tubo in mano, quando ha colpito, lo ha fatto con la precisa volontà di uccidere; concludendo, l'assassino doveva avere discrete conoscenze di anatomia, altrimenti gli avrebbe semplicemente dato una botta in testa. Fila il discorso, finora?"
"Fila, ma penso che avrebbe potuto anche dargli la botta sul collo per caso, non pensi?"
Giorgio, sorridendo, scosse la testa; poi si accese una sigaretta e rispose.
"No, non credo; se rifletti un attimo, capirai subito che, se sono davanti a te e cerco di darti una bastonata sul collo, tu alzi istintivamente il braccio per proteggerti. E, d'altra parte, è da escludere il caso che Spagnolo fosse stato tramortito o altro perché, altrimenti, se ne sarebbero accorti durante l'autopsia. Olcese mi ha anche detto che Spagnolo è stato colpito mentre era in piedi e questo esclude, a sua volta, il fatto che fosse addormentato o svenuto. Tutto chiaro?"
"Mh-mh, tutto chiaro, cervellone! Sei sprecato in quella fabbrica del cavolo; il tuo posto è: una bella vetrinetta in questura, con il martello attaccato alla catena e la scritta: 'In caso di casi insolubili, rompere il vetro'."
"Ma quanto sei spiritoso! Io, mio caro, uso la testa anche per pensare, mica solo per portare a spasso i capelli, come fai tu! Dai, non te la prendere: scherzavo!"
"Per un attimo ho creduto che pensassi veramente quello che hai detto!"
"Non ti preoccupare: lo penso veramente, ma solo per scherzo".
"Ah, beh, allora ..."
I successivi trenta secondi li trascorsero a ridere della finta tirata di Giorgio ed a pensare che erano proprio due spiritosoni.
"Adesso piantiamola di fare i coglioni e continuiamo a ricapitolare; potremmo perfino farci venire delle buone idee, non credi?"
"Sì, hai ragione ... Per me, però, è stata una cosa cretina ..."
"Cosa stai dicendo?"
"No, niente; stavo dicendo che è stata una cazzata quella di dar fuoco alla macchina: così hanno richiamato l'attenzione della gente, non credi?"
"Per niente! Non gliene fregava niente, di attirare l'attenzione: loro volevano solo tentare di impedire, o almeno ritardare, il riconoscimento del cadavere".
"Ammesso che sia come dici tu, perché lo hanno fatto? Se volevano ritardare il riconoscimento, perché non hanno levato i documenti della macchina? Se fosse come dici tu, invece, vorrebbe dire che l'assassino doveva guadagnare tempo o per sparire dalla circolazione, oppure per occultare le prove che lo legavano al delitto. Ma, in questo caso, Bruno sarebbe stato ucciso da qualcuno che era normalmente in contatto con lui, e quindi la polizia lo avrebbe scoperto, mentre invece, in questa faccenda, non c'è l'ombra di un indiziato. Quindi, se hanno lasciato i documenti, una ragione ci deve essere".
"I documenti ... già, perché hanno lasciato i documenti della macchina?"
Lo sguardo di Giorgio si perse nel buio, oltre il parabrezza della vettura: stava inseguendo, con la logica, i motivi di quella sciocca dimenticanza, giocandoci a rimpiattino nei meandri della propria mente. E se non fosse stata una dimenticanza? Se lo avessero fatto apposta, come pensa Gianni? Ma, allora: per quale motivo? Gianni, perso nei propri pensieri, ebbe, dopo pochi minuti, la spiacevolissima sensazione di essere scaraventato contro il parabrezza da una forza oscura che premeva alle sue spalle, ma capì subito che il fenomeno era provocato, semplicemente, da un'energica frenata che quel deficente di Giorgio aveva fatto sul filo dei centoventi.
Contemporaneamente, la sua mente registrò il fatto che il suo amico stava urlando; pensò ad un imminente, violento urto contro la coda di un autocarro, ma notò che, davanti a loro, la strada si stendeva sgombra verso l'infinito, od almeno verso una curva distante diverse centinaia di metri.
Con un ultimo rollìo, l'utilitaria si fermò molto vicino al guard-rail di destra; troppo vicino, anzi, per i gusti del napoletano, mentre l'amico gli afferrava, con ferrea stretta, il braccio sinistro e glielo scrollava come se avesse voluto staccarlo e tenerselo per ricordo.
"Ecco perché; ho capito! Ho capito!"
"Piantala di urlarmi nelle orecchie e spiegami un pochettino cos'hai capito, di così importante, da farti lasciare un dito di copertoni negli ultimi cento metri!"
Giorgio si calmò un poco, anche se il suo viso era rosso dall'eccitazione.
"Stammi a sentire, rompitasche! Se hanno bruciato il corpo, è perché volevano impedire il riconoscimento; visto, però, che non lo hanno fatto per impedire o ritardare le indagini, la ragione è questa: dovevano sfigurare il cadavere per non renderlo riconoscibile; cioè, il cadavere che sarebbe stato riconosciuto per quello di Bruno Spagnolo, non è il suo! In questo caso abbiamo anche capito chi è l'assassino: il caro Bruno stesso!"
"Come sarebbe a dire? Non ci ho capito un accidenti!"
"Allora: il cadavere era così sfigurato dal fuoco che il padre lo ha potuto riconoscere solo grazie a dettagli: l'orologio, le otturazioni dentarie, la statura, la taglia e così via, giusto?" "Sì".
"Bene. Ma allora quel cadavere poteva essere di chiunque avesse la corporatura, i capelli e l'età di Bruno. Piccolo dettaglio: le otturazioni dentarie; ma tu conosci qualcuno che, a vent'anni, non abbia un'otturazione in bocca?"
"Sì, ma ... esattamente quelle due otturazioni?"
"Apri la bocca!" "Cosa?" "Apri la bocca, sbrigati!"
Gianni, disorientato dalla richiesta perentoria dell'amico, obbedì e l'altro, impugnata una torcia elettrica, ispezionò minuziosamente la sua dentatura.
"Esattamente quelle due otturazioni! Anche tu, con la tua corporatura e le tue due otturazioni dentarie, se ti mettessero il suo Rolex al polso e ti cospargessero di benzina, potresti essere fatto passare per Bruno Spagnolo ... o quel che ne resterebbe, insomma".
"E tié!" Giorgio indovinò, più che vedere, lo scongiuro tipicamente partenopeo, tanto caro ad un ex presidente della Repubblica, che l'amico gli aveva indirizzato.
"Non ti agitare, dicevo così per dire; comunque credo di averti sufficientemente dimostrato l'esattezza della mia tesi'?.
"Per averla dimostrata, l'hai dimostrata; ma la prossima volta, fammi un piacere personale: dimostralo con qualcun altro, eh?"
"Dai, rilassati: era solo un esempio!"
"Un esempio un accidenti! Ma lasciamo perdere, che tanto tu te ne freghi dei sentimenti della gente!"
Poi, Gianni si calmò un poco ed interpellò l'amico.
"Attingi di nuovo alla tua saggezza, o maestro, ed illustrami la prossima, geniale mossa".
Giorgio ignorò il tono ironico della voce dell'amico e ricordò che, un paio di chilometri più oltre, vi era una piazzola con l'immancabile bar annesso e decise che la sua gola avrebbe gradito moltissimo una birra fresca. Comunicò la decisione all'amico e raggiunse l'autogrill.
Solo dopo che la sua sete fu placata, si degnò di rivolgere parola all'amico.
"Scusa se non ti ho considerato per un po', ma cercavo di ricordare un qualcosa: ti ricordi, quando eravamo da Schiavoni, che lui, ad un certo momento, stava dicendo qualcosa ed io l'ho interrotto? Non ricordi cosa stesse dicendo?"

================================ Fine modulo 28 =======================================

"No, assolutamente. Mi è sembrato che riprendesse coraggio, dopo la tua interruzione, ma non ricordo cosa stesse dicendo".
"Mah, mi verrà in mente. Proporrei di fare, domani, due chiacchere con papa Spagnolo, tanto per sapere qualcosina di interessante sul riconoscimento che ha fatto del corpo del figliolino suo".

Il giorno dopo s'incontrarono di mattina, essendo Gianni occupato nel pomeriggio, e si diressero verso l'ufficio di Flavio Spagnolo. Mentre vi si recavano, Gianni richiamò l'attenzione dell'amico.
"Vedi, Giorgio, stavo pensando che forse stiamo facendo 'na fesseria ad andare dal padre: da quanto ha detto Olcese, il padre vedeva Bruno solo quando il rampollo era a corto di soldi; cosa vuoi che sappia? E poi, da queste parti, mannaggia a voi, quando uno è sul lavoro, non vuole assolutamente distrazioni o rotture di scatole assortite".
"E allora..."
"Dalle parti mie, è la madre che sa tutto della figliolanza".
"Già, ma è il padre che ha fatto il riconoscimento".
Già, perché tu credi che la madre non si sia fatta raccontare, per filo e per segno, tutti i particolari?"
"Sì, può darsi..."
"Inoltre il padre può essere tutto meno che fesso: noi cosa gli andiamo a raccontare? Quella degli scrittori, ci facciamo passare per poliziotti o gli diciamo la verità, così ci manda subito al diavolo senza neanche farci sedere?"
"Già; la madre, secondo Olcese, non è precisamente un'aquila. Mmh ... okappa, proposta accolta. Però, per i miei gusti, cominci ad avere ragione un po' troppo spesso, per la tua incolumità: stai attento e ricordati che il capo, qui, sono io!"
"Mavaff..." "Vabbé, ho capito!"

Vennero accolti da Renata Spagnolo, alla quale propinarono la collaudata panzana dei due scrittori di gialli i quali, mancando di esperienza, hanno intenzione di seguire, se la signora non ha niente in contrario, la falsariga del caso Spagnolo.
"... Perché vede, signora: ci siamo trovati davanti a problemi insormontabili, nella realizzazione del nostro racconto.
Per questo vorremmo abusare della sua cortesia, per farci un'idea delle varie componenti di un'indagine".
Giorgio, dopo aver esposto il motivo della visita, rimase in attesa delle decisioni della matrona. Questa, dopo aver meditato brevemente, accondiscese graziosamente, a mo' di regnante. Decisero di attenersi al canovaccio della precedente esperienza, col medico, e fecero molte futili domande alla donna, tanto per non rendere troppo evidente il motivo della loro visita.
Poi la stoccata.
"Vorremmo ora chiederle, se lo ricorda, su cosa suo marito ha basato il riconoscimento del povero Bruno".
I due amici ebbero l'impressione che il viso della donna si raggrinzisse un poco, al pensiero della descrizione che il marito le aveva, senz'altro, fatto.
Due lacrime si affacciarono agli occhi della donna, la quale, tuttavia, si trattenne dal manifestare la sua commozione e si accinse a rispondere.
"Ha dovuto basare il ... (singhiozzo) ... il riconoscimento solo su dettagli marginali... cioè, oltre a particolari fisici, statura, corporatura, anche sul fatto che ha riconosciuto il suo Rolex d'oro e due otturazioni dentarie. Bruno, infatti, fece un soggiorno di diversi mesi, tre, mi pare, in Inghilterra e là dovette farsi fare queste due otturazioni. Poi, siccome da quella volta non è più dovuto andare dal dentista, mio marito mi ha spiegato che, perciò, il nostro dentista non aveva la scheda di Bruno e questo particolare poteva essere confermato solo dal dentista o da mio marito; e mio marito era così sicuro che non è neanche stata chiesta la scheda di Bruno al dentista inglese".
"Scusi la curiosità, ma quali denti erano stati impiombati, esattamente?"
"Mi faccia pensare ... sì, il terzo premolare ed il primo molare inferiore destro, ne sono sicurissima".
"Potrei chiederle su cosa basa questa sua certezza?"
La donna sorrise, come se fosse ad un gioco a quiz televisivo e sapesse la risposta giusta.
"Ricordo che erano quei due denti perché Bruno, quando tornò dall'Inghilterra, scherzò sul fatto dicendo che, quando gli fosse nato il dente del giudizio, avrebbe avuto due vicini moribondi".
Giorgio sussultò, ma la donna non se ne rese conto. Così il giovane fece qualche altra domanda, tanto per perdere quell'unico quesito importante sotto una valanga di altri inutili, al limite cretini, che non avrebbero permesso alla donna di ricordare, specificatamente, quella domanda.

Lasciata l'abitazione degli Spagnolo, i due amici si diressero al Tonitto, che era poco lontano, per fare il punto della situazione e per bere qualcosa.
"Caro Gianni, direi che ci siamo".
"Scusa, ma non capisco proprio".
"Non me ne stupisco: il capo sono io. A parte gli scherzi; ricordi quali denti erano impiombati, tra quelli di Bruno?"
"Ma lo ha detto la madre adesso!" "Ripetimelo".
"Uffa, che rompitore ... Dunque: il terzo premolare ed il primo molare inferiore destro, se non sbaglio".
"No, non sbagli. E adesso ti ricordi, fai attenzione, è importante, su quali denti erano le impiombature, secondo l'autopsia?" "Mah ... sì, accidenti! Hai ragione: l'autopsia diceva il primo ed
il secondo molare inferiore destro! Non sono gli stessi denti!"
"Esatto. Se i denti non corrispondono, il cadavere non è quello di Bruno Spagnolo; ma allora la mia teoria, secondo la quale Bruno non è il morto ma l'assassino, è giusta".
"Già, hai ragione. Ma c'è una cosa che non capisco: perché il padre ha riconosciuto il cadavere? Era d'accordo?"
No, non credo. Immaginati in che stato era, quando ha fatto l'identificazione; il padre, inoltre, ricordava che Bruno aveva i due ultimi denti impiombati, ma non ha fatto caso ai denti del giudizio; cioè: al morto erano già spuntati i denti del giudizio da abbastanza tempo da averceli già cariati ed otturati. Forse a Bruno non erano ancora spuntati, ma anche se gli fossero già spuntati, il padre ricordava quella battuta che ci ha ripetuto la madre".
"Già, hai ragione. E adesso che si fa?"
"Adesso io faccio due telefonate e tu, per dimostrare l'ammirazione che mi porti, paghi il conto".
Avuti i due gettoni, Giorgio si diresse all'apparecchio telefonico e compose il numero di Titta.
"Amore, sento che ci siamo", le disse, "l'importante sono i denti!"
Titta, perplessa, gli chiese lumi, ma il giovane si mise a ridere. "No, non ti dico niente, divertiti ad arrivare da sola alla spiegazione ... no, te lo dico stasera ... è anche che ci voglio riflettere bene con Gianni, prima ... va bene, sarò da te diciamo ... per le dieci ... senti amore, non posso stare troppo al telefono ... no, devo fare un'altra telefonata e poi devo andare a fare un lavoretto in casa di uno ... sì, uno extra ... va bene, ciao".
Inserì l'altro gettone e chiamò, questa volta, Cinzia.
"Cinzia? ... ciao, sono Giorgio ... volevo dirti una cosa ..."no, riguardante la faccenda di Bruno ... non ti illudere troppo, ma sembra che Bruno potrebbe non essere morto ... no, è solo una mia idea ... esatto, niente di ufficiale ... figurati, pensavo di dovertelo dire, no? ... No, non dire niente a nessuno, non vorrei prendere una cantonata e farci la figura del fesso ... sì, stai tranquilla, quando so qualcosa di sicuro ti faccio sapere ... sì, ciao".

================================ Fine modulo 29 =======================================

Dopo le telefonate raggiunse l'amico.
"Bene. Adesso ce ne andiamo, ognuno seguendo il proprio destino. Direi che sarebbe interessante se ci digerissimo, tutto il giorno, le grandi novità e se stasera ci incontrassimo per sapere se ci è venuta qualche idea furba riguardo tutta la faccenda. Va bene?" Gianni annuì brevemente.
"Bisognerà anche decidere di passare la mano ad Olcese, prima o poi, non credi?"
"Sì, stai tranquillo: stasera parliamo anche di questo. Allora facciamo così: ti vengo a rastrellare sotto casa alle nove in punto, ci facciamo un giretto, tanto per scambiarci le nostre idee geniali; poscia di ciò, andiamo da Titta a raccontarle quanto siamo intelligenti. Saluti e baci".

Erano le regolamentari novemenocinque, quando i due amici si rividero. In un quarto d'ora raggiunsero il più vicino casello dell'autostrada e Giorgio imboccò la rampa per Sestri Levante ("E' che a Sestri fanno un ottimo caffè", spiegò, serafico, una sera che Gianni si lamentava per la monotonia di quel tratto di autostrada).

Certo! Lui si era ammazzato di lavoro per quattro anni, per sfondare nella professione, per poter dare a Giovanna tutto ciò che lei chiedeva e, ora, quella troia era stanca e se ne andava! Lui che aveva, come un coglione, sacrificato i suoi anni migliori, per lei! E quella stupida puttana che, quando lui arrivava a casa stanco, preoccupato, mai che gli dicesse bravo, che lo consolasse, che lo coccolasse un po'. Così c'era stata Fernanda, e poi Elisabetta (che culo fantastico, quella!) e poi... e poi le professioniste, sempre pronte ad apprezzarlo per quello che era!
E quella sera aveva trovato l'infame biglietto; così si era bevuto un whisky per calmarsi, ma non aveva funzionato a sufficienza; e allora un altro ed un altro e ... e poi aveva scaraventato il bicchiere contro il muro ed aveva bevuto dalla bottiglia. Finito il whisky, aveva preso la Range Rover, il sogno di tutta una vita,realizzato solo cinque mesi prima, ed era partito da casa; arrivato davanti al casello dell'autostrada, l'aveva imboccata ed ora viaggiava, viaggiava ...
Prima dell'area di servizio di Sant'Ilario, i suoi occhi, a fatica, misero a fuoco una 127 bianca che procedeva a circa venti metri davanti a lui. Decise di seguirla per un po'.
"Quella cagna, quella puttana!" Era quasi rauco, a furia di riperterlo!
Stefano Audicini aveva avuto l'amara sorpresa due ore prima, rientrando a casa: sua moglie, 'quella troia della Giovanna', lo aveva lasciato. Era scappata con quel cornuto di Enrico, per giunta, il suo migliore amico! 'Scusami, Stefano', aveva scritto la cagna 'ma non ce la faccio più a rimanere con te: sei cambiato molto, da quando ci siamo sposati; sei diventato collerico, suscettibile, a volte persine crudele: non posso più restare con te. Vado via con Enrico, cercheremo di rifarci una vita. Perdonami...'

Come la vettura raggiunse la discreta velocità di cento all'ora, Giorgio sollevò leggermente il piede dall'acceleratore per regolarizzare l'andatura, si sistemò più comodamente sul sedile e parlò.
"Bene, stellina; le tue cogitazioni pomeridiane ti hanno portato a cogliere la soluzione dell'enigma?"
"No; spero solo che Olcese abbia avuto qualche buona idea". Confessò il napoletano.
"Che c'entra il Santo, adesso? Mica gli ho detto niente; se gli raccontavo la nostra mezza certezza, ho detto mezza, bada bene, a quello gli veniva un infarto. Voglio rifletterci ancora su, prima di fargli il regalino. Magari è una lepre, un'idea sbagliata, e,allora lui è ancora ..." Il lampo nelle tenebre! "Lui è ancora! Mi sono ricordato di una cosa! Ti ricordi, mentre stavamo interrogando Schiavoni, che lui, ad un certo momento, ha detto 'lui è ancora ...' e poi, coglione, l'ho interrotto. Stava parlando di Bruno, ricordi?"
"Sì, ricordo; e direi, alla luce dei fatti, che lui, allora, stava per dire che Bruno era vivo!"
"Esatto! Ma allora, se lui sa che Bruno è ancora vivo, sa anche, probabilmente, dove è finito!"
"Ottimo! Così abbiamo anche trovato la maniera per trovare il caro estinto".
"E' inutile, Gianni, siamo troppo intelligenti". "Già, è proprio ..."
"Scusa se interrompo queste tue modeste considerazioni, ma hai notato quella Range Rover che abbiamo dietro? Ci segue da un po' e, tra l'altro, va a zig-zag come se andasse a whisky anziché a benzina". Gianni si volse, osservò brevemente il massiccio veicolo, poi si rivolse a Giorgio con indifferenza.
"Per me son palle che hai tu: ci sta così seguendo che ha messo la freccia per sorpassarci; però ti conviene farti bene sulla destra, perché proprio dritto non è che vada".
Il giovane annuì e manovrò in modo da portare le ruote di destra sulla riga gialla della corsia d'emergenza.
Poco più avanti, iniziava il viadotto che scavalcava il paese di Sori.
Stefano sentì di cominciare ad odiare le due persone che indovinava all'interno dell'utilitaria: qualche operaio lavativo di merda, forse, che portava la sua ganza a ballare e poi a fottere. Bastardi!
Un'idea gli illuminò la mente: cominciò a ridacchiare come un idiota e considerò che alla fine della galleria che stava percorrendo c'era mezzo chilometro di autostrada contro la collina, ma poi... Accelerò un poco ...
Giorgio guardò nel retrovisore esterno e stimò la velocità dell'altro automezzo intorno ai centoventi chilometri orari: gli sembrava stranamente elevata, rispetto all'andatura di pochi istanti prima e diminuì la pressione del piede sull'acceleratore: prima gli si levava di torno e meglio stava.

A quell'ora, Titta stava leggendo una rivista, quando squillò il telefono. Rispondendo, fu felice di sentire la voce di Filippo Maria, un caro amico suo e di Giorgio.
"Carissimo Pippo! ... come stai? ... sei a Genova? ... sì, no, non c'è ... sì, però dovrebbe essere qui tra una mezz'eretta ... sì, dai, vieni qui, così quando arriva gli fai una sorpresa ... va bene, a tra poco ... sì, ciao".
Il Pippo, pensò Titta, o per meglio dire: Filippo Maria Greco del... del qualcosa, non ricordava mai come diavolo era quel cognome! Comunque, era impiegato al Banco di Roma e fissato per le macchine da 'ricchi'. Uno strano tipo: a quanto Titta e Giorgio avevano capito, era nato nella Napoli-bene, rampollo viziatissimo di ricchissima famiglia; aveva fatto il 'fighetto' fino a ventitré anni e poi, probabilmente schifato dalla vacuità del suo tran-tran d'alto bordo, aveva dato un calcio all'ambiente dorato dei figli di papà, era entrato in banca e si guadagnava la 'pagnotta' col suo lavoro. Che poi sua madre gli mandasse "l'assegnino" ogni mese, beh ... mica poteva offenderla e rimandarlo indietro, no?
Era contenta di aver sentito il vecchio amico, di sapere che stava arrivando; tuttavia si stupì nel sentirsi, per un attimo, triste, angosciata: come se l'ala di un enorme uccellacelo nero avesse, per un attimo, oscurato il sole.

Ormai la Range Rover era affiancata alla 127 e Giorgio, guidato da un oscuro istinto, aveva definitivamente levato il piede dal pedale dell'acceleratore.

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