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Sapore di clinto (terza parte)

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Era, inoltre, in ottima salute ed in buona forma fisica, al momento della morte; e poi fumava, era alto così, largo cosi, pesava tanto eccetera-eccetera, per quattro cartelle fittamente battute.
Olcese aveva lungamente riflettuto sulle ipotesi dell'omicidio, immaginandosi, prima, il momento del delitto: Spagnolo ed il suo assassino che si fronteggiano, in piedi; questi che prende un tubo da ponteggi in mano (pensava che il delitto era stato consumato in un posto diverso da dove era stata ritrovata la macchina: su quella strada c'è movimento a qualunque ora, è l'unica strada, a parte l'autostrada, cioè, per andare da Genova ai piccoli centri della riviera di levante come Sori, Recco e, più in là, Rapallo e Chiavari; vista l'arma del delitto, ambientava la scena in prossimità di un cantiere edile), probabilmente a freddo, vista la mancanza di altre lesioni sul corpo e quindi la mancanza di colluttazione o di tentativi di ripararsi della vittima, e colpisce, forte, preciso, spietato. Poi l'assassino carica il cadavere in macchina, arriva sino a quel punto dell'Aurelia, cosparge il corpo di benzina (bucando il serbatoio per averla? Oppure il foro era per fare uscire la benzina dall'auto, già in fiamme, e quel bastardo aveva una tanichetta di plastica con cinque litri di super dentro?) accende il motore, se

lo aveva spento, mette il piede del morto sull'acceleratore, ingrana la prima e lascia che l'utilitaria sfondi la barriera di legno e precipiti, incendiata prima da lui, sulla scogliera sottostante.
Olcese era convinto della premeditazione del delitto da diversi particolari: il breve lasso di tempo tra la morte ed il fìnto incidente, per esempio, od il fatto che l'assassino sapesse che, in quella curva, il guard-rail era stato schiacciato da un autocarro, cosa avvenuta pochi giorni prima.

Poi aveva esaminato i potenziali motivi di quell'omicidio; aveva, prima di tutto, escluso il gioco d'azzardo: questo perché aveva saputo che Bruno Spagnolo non giocava e, soprattutto, non faceva debiti (beato lui!). Del resto, se avesse dovuto soldi a qualcuno, avrebbe rimediato, al massimo, parecchi lividi e non un'unico (!) colpo di tubo in faccia; colpo mortale, per di più (e il tubo non si trovava).
Altri motivi: delitto passionale. No, non vedeva come adattarlo su ciò che aveva saputo sulla personalità di Spagnolo. Vendetta nei confronti del padre: era stata abbastanza controllata questa ipotesi ma non sembrava che vi fossero sbocchi in questo senso. E poi Mendolia non aveva "annusato" niente!
Bruno Spagnolo aveva visto il suo assassino, lo aveva di fronte quando è stato colpito; probabilmente lo conosceva. Ma tutti gli amici erano stati interrogati a fondo (compatibilmente con le pressioni fatte sul questore e sul suo capo, accidenti a loro! Come se far spaccare le palle ad un povero commissario fosse diventato un nuovo 'status-symbol'!). Avevano tutti un alibi per l'ora del delitto, i rampolli; od almeno: un alibi ragionevole per le tre del mattino.
Accidenti! Non riusciva a concludere assolutamente niente! Poteva anche essere stato ammazzato da Babbo Natale, dal capo della mobile o dallo spirito di Lucrezia Borgia, per quello che poteva importare, tanto lui non lo avrebbe scoperto lo stesso!
Si accese una Gauloise e si mise a seguire, con lo sguardo, il filo di fumo che, pigramente, saliva verso il globo opaco, tipico lampadario dei locali dello stato. Qualche goccia stava cominciando a bagnare i vetri polverosi della finestra: cominciava a piovere. Masticò un accidenti e ritornò ad osservare il fumo che rotolava sul basso soffitto.
Sentì, quasi subito, un bussìo cortese alla porta che lo fece incuriosire per l'educazione del visitatore; quando bussavano, se bussavano, erano, normalmente, colpi da sfondare il pannello di compensato. Si sorprese a dire "Avanti" come una persona civile e subito la porta si schiuse.
"Ciao, Santo!" Olcese vide entrare nel suo bugigattolo la gradevole figura di Tiziana, Titta per gli amici, ormai futura moglie di Giorgio.
Lo chiamava 'Santo', quella 'diabolica' ragazza, già da un pezzo ed Olcese, pazientemente, sopportava il nomignolo affettuoso. Infatti era diventato 'Santo', non in virtù delle sue qualità morali, bensì a causa dell'omonimia del commissario con Sant'Olcese, paesino sulle alture di Genova, patria dell'omonima qualità di salame.
"Ciao, Titta; qual buon vento?"
"Vento di tempesta: fuori viene un'acqua grossa come mele e, siccome passavamo di qua ..."
"Vuoi dire che c'è anche quel lazzarone di Giorgio, nei paraggi?"
"Certo, 'madama', eccomi qua". Giorgio fece un'entrata trionfale brandendo, come trofeo, una bottiglia di birra.
"Vuoi tu dare ospitalità a due naufraghi ed a una bottiglia di birra? Dai, tira fuori i bicchieri e leva un po' di questa spazzatura dalla scrivania, forza!"
Si sedette su un angolo della scrivania, stappò la birra con il tagliacarte di Olcese e la versò in tre bicchieri, quasi puliti, che il commissario aveva pescato dalle profondità di un cassetto.
"Di', grande capo, cosa ti succede, che non ti vedo più? Sono venuto in questura con la pia speranza che fossi morto e che mi avessi lasciato erede dei tuoi beni terreni".
"Guarda, non rompermi le scatole; sono nella bagna per quella storia che ti ho raccontato tempo fa. Non siamo riusciti a venirne a capo e la cosa non mi va giù; tra un paio di giorni, se non ci viene un'idea veramente super, prendo questa roba e la sbatto 'ai topi', giù in cantina, ad ammuffire e amen, checché ne possa pensare il gran capo!"
"Perché, rompe?" "Rompere?!? Rompesse solo sarebbe niente, è convinto che il suo lavoro, qua dentro, sia spaccare le scatole a tutti ... Il fatto è che non passa un'ora, dico un'ora, che lui o qualche altro rompiscatole convinto di averne l'autorità, non senta l'irrefrenabile necessità di armarsi di telefono ed informarsi se ho trovato quel figlio di buona madre che ha fatto il servizio allo Spagnolo. E questo è ancora niente! Sai qual'è la loro frase di chiusura? Invariabilmente mi chiedono: "Ma ... è sicuro che non si sia trattato di morte accidentale?" Sembra quasi che si passino dei ciclostilati con la domandina sopra!"
"Va bene, non ti scaldare". Giorgio guardò distrattamente fuori dalla finestra, poi si rivolse di nuovo al commissario. "Di', Antonio, ti scoccia se leggiucchio qualcosina?" "Per quello che me ne frega ... basta che non ti freghi niente e che, se arriva qualcuno, non ti fai beccare con quella roba in mano, che m'infili in qualche fogna ..."
Si girò verso la giovane, che guardava Giorgio con uno sguardo affettuoso.
"E a te come va, Titta? Ho saputo che hai finalmente incastrato Giorgio".
Sorriso divertito di lei.
"Guarda che è lui che mi ha implorato di sposarlo: dice che, ormai, sta invecchiando e che non vuole finire in un ospizio, il buffone. Così incastra una poveretta perché gli faccia da infermiera per quel che gli rimane della sua vita terrena: e io sono fregata!" Olcese guardò Titta; era una ragazza snella, alta circa un metro e sessantacinque, con i capelli corti, castani, gli occhi color nocciola, fatti risaltare da belle sopracciglia arcuate, ed appena un filo di trucco. Una ragazza di spirito con la quale era piacevole conversare o narrarle cose personali, vista la sua assoluta discrezione. Insomma, una persona con una buona testa e con la voglia e l'abitudine di usarla.
"Giorgio, è vero quello che dice Titta, che sei un vecchietto?"
Il giovane mugolò un assenso; era immerso nella lettura dei verbali ed Olcese preferì lasciarlo in pace: sapeva che l'amico si arrabbiava come una iena, quando veniva interrotto durante la lettura di qualsiasi cosa.
Il commissario notò che l'altro, man mano che procedeva nella lettura, prendeva appunti su un notes (il SUO notes, gli-venisse-un-accidenti!), con quella sua grafia illeggibile.

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Decise di sorvolare (era o non era 'santo'?) e di dedicarsi allo scambio di banalità e battute con la ragazza: sapeva che l'amico, cosi, per gusto intellettuale, avrebbe riflettuto sul caso e magari, anche se non ci sperava, Giorgio sarebbe arrivato con 'uovo di Colombo', "Fresco-fresco di giornata", come diceva lui. Sapeva anche che, lasciando leggere quelle carte a Giorgio, calpestava tranquillamente tutti i regolamenti, ma quel caso lo aveva fatto incavolare così tanto che decise di fregarsene bellamente.
Dopo un paio d'ore Giorgio sbuffò, bevve dalla bottiglia la poca birra rimasta e batté la mano sul braccio della giovane.
"Dai, portiamo via le tasche, che tra un paio d'ore devo entrare in fabbrica. E metti in borsetta questa roba. Toni, grazie dell'ospitalità. Quegli appunti me li studio domani pomeriggio, appena mi sveglio: sai, ho il turno undici-sette e ... Ah, senti: non è che il piantone farà storie, a vederci uscire a quest'ora? Sai, sono le otto passate..."
"No, perché ve ne venite via con me; anch'io ho diritto di tornare al mio focolare, dopo una giornata di duro lavoro, no? A proposito di quegli appunti, Giorgio: stacci all'occhio, che sai dove finisco se ..."
"Piantala di rompere, non sono mica scemo!" Il piantone della questura vide uscire il terzetto dall'ascensore, riconobbe Olcese e continuò a leggere il giornale sportivo senza dire una parola. I tre, arrivati sul marciapiedi, si divisero: Olcese prese la strada di casa, annusando l'odore dell'asfalto bagnato, accompagnato da Giorgio; Titta salì sulla sua 500 giallina ed anche lei si diresse a casa. I due amici, lentamente, camminarono affiancati senza parlare.

Giorgio, a ventisei anni, poteva dire di essere soddisfatto della sua vita e delle sue scelte. Aveva avuto, per esempio, una carriera scolastica particolare: arrivato a metà della quarta scientifico, aveva deciso di smettere di studiare per realizzare rapidamente i suoi progetti, primo fra tutti l'indipendenza economica dalla famiglia. Per qualche tempo fece una miriade di mestieri strampalati: per trovare un lavoro serio, onesto e con una retribuzione dignitosa, infatti, è indispensabile il congedo militare (od il fatto di essere donna; ma non sempre!)
In quel periodo, perciò, ebbe tanto lavoro, poco stipendio e niente previdenze di legge; passò da un lavoro nero all'altro, tanto che, un giorno che la sua amarezza era più tangibile del solito, parafrasando il primo articolo della Costituzione, confidò ad un amico che, per lui, "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro (nero)".
Un giorno, infine ricevette la chiamata alle armi e dimenticò i problemi del lavoro per tredici interminabili mesi.
Dopo il congedo, finalmente, un lavoro regolare in una fabbrichetta e, tutte le sere, cinque ore alle scuole serali, per tutti i nove mesi di un anno scolastico. In quei nove mesi studiò quello che, regolarmente, si studia negli ultimi tre anni degli istituti tecnici ed alla fine, ebbe anche lui il diploma di "Perito Industriale Capotecnico (specializzazione elettrotecnica)".
Ebbe un periodo di disoccupazione (il direttore della fabbrica dove lavorava, sentendosi chiedere un periodo di assenza non retribuita per fare la 'messa-a-punto' in vista dell'esame di stato, lo aveva 'convinto' a licenziarsi), ma infine, trovò quel lavoro in una grossa fabbrica che gli permetteva di vivere coerentemente alle sue idee; quelle idee che Cinzia aveva capito e fatto sue, quelle idee per cui lui aveva abbandonato la comoda vita dei rampolli di buona famiglia, della 'jeunesse dorée' del "rispettabile" (come amava definirlo il capo di Olcese) quartiere di Albaro, dove era nato.
Quella sera, lavorando, una domanda continuava ad assillarlo: a chi giova, quel delitto? E, soprattutto, pensava alle risposte che la polizia aveva ottenuto. Erano risposte esaurienti? E le domande, anzitutto, erano quelle giuste? Ed erano state poste alle persone giuste? E poi ancora, accidenti, che cavolo c'entrava, lui, con tutta quella faccenda?

Tre giorni dopo, Olcese era intento ad un lavoro delicatissimo, o almeno così parve a Mendolia che aveva messo un attimo la testa nell'uffìcetto. In effetti il momento era cruciale: il commissario stava facendo tutta una serie di considerazioni per fissare il periodo nel quale andare in ferie.
Il lavoro si trascinava nel più squallido tran-tran; il caso Spagnolo era definitivamente destinato all'archiviazione, nessuno riusciva a capirci un accidente, e le altre inchieste erano sciocchezzuole: trovare un tizio che aveva ammazzato la moglie a colpi di scure, indagare sui retroscena di una rissa tra slavi con quattro feriti, rintracciare un bambino scomparso, magari smarritosi alla Standa.
Stava giusto accarezzando l'idea di mettersi in ferie dalla settimana successiva, quando l'imperioso squillo del telefono lo fece sobbalzare, facendolo risvegliare da un sogno ambientato in spiagge affollate da splendide ragazze in tanga e che impazzivano per commissari di polizia, verso i quaranta e con un inizio di calvizie. Così i suoi pensieri tornarono nel lugubre ufficetto al terzo piano della questura.
"Pronto, Olcese! ... ah, ciao Giorgio ... sì, probabilmente domani stesso ... sì, sì, archiviazione degli atti: non siamo venuti a capo di niente ... cosa vuoi dire che siamo stati degli arruffoni ... certo, abbiamo tentato tutte le strade, cosa credi? ... beh, certo, tutte insieme ... com'é, che abbiamo fatto un gran casino? ... non potevamo mica dormirci sopra! ... sì, d'accordo, non sapevamo dove sbattere la testa e ... come sarebbe a dire disorganicità e scarso entusiasmo? ... no, no, adesso mi lasci parlare. Stammi bene a sentire, cervellone: qui c'è gente che fa questo lavoro da prima che tu nascessi e perciò ... non mi stare a rompere le scatole, se non ci siamo riusciti noi, tu combini ancora meno! ... Cosa vuoi sapere? ... no, i nostri informatori non ci hanno saputo dire niente ... sì, hai ragione ... ma lasciami parlare, porco-giuda; il guard-rail era stato schiacciato un paio di notti prima da un camion ... no, no, niente di strano, perfettamente normale ... l'autista è finito all'ospedale ... si è rotto un braccio ... è che dopo ha perso il controllo ed è andato a sbattere contro il muraglione, a lato monte ... ma sì, la Stradale mi ha fatto avere il rapporto. ... ci avevo pensato anch'io alla messa in scena, ma ti ho già detto che è tutto regolare ... cosa vuoi dire "adesso le indagini le faccio io, a modo mio"? ... tu non fai un accidenti! ... prova a fare delle domande in giro che ti sbatto dentro com'è vero che ... ma che gelosia professionale! ... è che scoppia un casino che non sta né in cielo né in terra ... come? ... sì, ma ... se ricominci daccapo affari tuoi... ma non hai niente di meglio da fare, porco-giuda? ... ho capito, ti ci stai appassionando, ma per me sei tutto scemo ... guarda che questa non è una cosa da fare per hobby ... e poi tu, con che cavolo di scusa ci entri? ... che sei amico di Cinzia? ... ma quella ti manda a spigolare ... alla faccia della modestia! ... Giorgio, stai all'occhio, non è una pagliacciata; hanno già ammazzato uno e se ... lo so che sei maggiorenne e vaccinato, ma almeno stai attento e ... ciao, zuccone!"
Mise giù la cornetta con ostentata delicatezza, schiumando di rabbia. Quell'imbecille presuntuoso stava infilandosi in un ginepraio che non se lo poteva neanche immaginare, il cervellone; e tutto per il gusto di farlo incavolare mentre lui, fesso, gli dava ancora corda!
Se ne sarebbe accorto, il caro Giorgio Zanelli, cosa voleva dire indagare per un omicidio!

Giorgio uscì di casa di ottimo umore. La telefonata fatta ad Olcese mezz'ora prima, lo aveva divertito: povero Santo, che perdeva le staffe per un nonnulla!

================================ Fine modulo 8 ========================================

 

Salì sulla sua 127 bianca e si guardò nello specchietto retrovisore: lavato, sbarbato, con i baffetti biondi lisciati ed i capelli quasi pettinati, sembrava una persona civile. Al suo buonumore contribuiva il fatto che, l'indomani, sarebbe stato in turno di riposo; cosa che gli avrebbe permesso sia di poter fare le ore piccole, quella sera, sia di potersi dedicare ad un passatempo a lui molto gradito l'indomani: poltrire a letto fino a mezzogiorno. Inoltre Titta, dovendo lavorare, non gli avrebbe rotto le scatole e lui sarebbe stato pienamente padrone del suo tempo libero. Sorridendo, da persona soddisfatta della sua vita, si tuffò nel traffico diabolico di via Carlo Barabino per andare a fare una visitina alla sua vecchia fiamma: Cinzia Righetti.

"Non riesco a capire perché, di questa storia, te ne voglia impicciare tu che non c'entri niente. Hai un lavoro, probabilmente anche una ragazza che, magari, ti ama; ma tu no, se non infili il naso in tutte le puzze, non sei contento, non ci dormi la notte!"
Cinzia lo guardò con uno sguardo colmo di sentimenti diversi, tra i quali Giorgio riconobbe solo ironico compatimento, e bevve un altro sorso di Coca.
Il giovane, da parte sua, la guardava con un sorriso sfottente sulle labbra tumide. Era arrivato da una decina di minuti e, dopo i soliti convenevoli un poco stantìi, aveva affrontato il motivo della visita.
Cinzia, riflette Giorgio, si era fatta ancora più carina, dall'ultima volta che l'aveva vista, circa un anno prima. Già allora aveva capito che quella ragazza, la Cinzia che aveva davanti, era una sconosciuta, che aveva cambiato il suo modo di pensare, di vedere le cose.
Bevve un sorso della sua bibita, fece un profondo sospiro e cominciò a spiegare.
"Tu, una volta, mi conoscevi abbastanza bene: sai che non sopporto che un qualcosa di misterioso coinvolga me od i miei amici, tu ed Olcese in questo caso. Inoltre ... mah, non lo so neanch'io. Ma lasciamo perdere i miei motivi e vediamo un po' i tuoi".
Interruppe con un gesto le proteste della giovane e continuò.
"Stammi bene a sentire, ragazza: non so se e quanto bene tu volessi a Bruno e, detto per inciso, non me ne frega neanche niente, son fatti tuoi! Però, in questi pochi minuti che abbiamo passato insieme a parlare, mi hai dato l'impressione di essere interessata a far dimenticare tutta questa storia alla veloce; la domanda più ovvia che possa fare io è questa: perché?"
Lui sapeva che era una ragazza orgogliosa ed impulsiva ed era preparato a qualsiasi reazione; qualunque cosa, meno quello che Cinzia fece in realtà: mettersi a piangere.
"Non mi puoi dire questo, Giorgio. Non dopo quello che c'è stato tra noi. E' stato un periodo magnifico, mi hai fatto vedere come, in realtà, è il mondo; mi hai insegnato ad amare la verità, per quanto sgradevole possa essere, ed adesso mi dici così! Proprio da te non me l'aspettavo, Giorgio. Io, a quel ragazzo, gli ho voluto bene e vorrei andare a fondo di questa storia, ma ho una brutta sensazione: ho paura che, se andate avanti con le indagini, tu o chiunque altro, ci possano essere altri morti, altra sofferenza ..." si coprì gli occhi con le mani. "... lo capisci, questo? Ho paura, paura che vogliano far del male anche a me ..."
"Chi? Chi è questa gente della quale hai paura? Cos'avete combinato, tu e quell'altro? In che casini vi siete messi? Parla! Se non parli, sarai sempre in pericolo. Cos'avete combinato?"
Cinzia ricominciò a piangere e raccontò, con la voce punteggiata dai singhiozzi.
"Ma non lo so! Bruno, un paio di mesi prima di ... morire, mi ha detto che lui, qualche sera, ogni tanto, avrebbe avuto da fare. Però io avrei dovuto vedermi con lui lo stesso anche se, poi, mi lasciava al cinema od in un bar. Mi disse che non dovevo andare a ballare per evitare d'incontrare gente che ci conosceva e di aspettarlo in un posto che fissavamo volta per volta ad una certa ora. Se, dopo un po' che l'aspettavo, non l'avessi visto, avrei dovuto prendere un taxi e tornare a casa da sola. Io facevo semplicemente quello che mi diceva ..." "E tu, siccome sei scema, facevi tutto quello che diceva senza fare domande!" Disse Giorgio, scuotendo la testa.
"Ma no..."
"Ma sì! Perché si comportava così? Cioè, cosa ti diceva che andava a fare, in quelle sere? Dove andava, chi incontrava? Questo glie lo devi aver chiesto, almeno, mica sei una cretina che dice sempre di sì!"
"Ma io glie le ho fatte un mucchio di volte, queste domande; ma lui mi diceva sempre: 'fidati, mica sono un delinquente'. Quando si incavolava per la mia insistenza, mi ripeteva che se non mi andava bene, potevo andarmene, che non mi teneva, che potevo andarmene quando volevo, eccetera. Con delle uscite del genere, cosa potevo fare? Lo amavo! Così restavo e lui continuava a sparire una sera o due alla settimana".
Nonostante l'espressione adirata, Giorgio era soddisfatto: era riuscito a sapere più di Olcese.
"Dimmi un po' una cosa, cretinetta: perché, a quel povero cristo di Olcese, queste cose non le hai raccontate? Ti faceva schifo, forse? Ti fa schifo far arrestare quel figlio di tanti padri del 'tubista'?
Spiegami, e cerca di essere convincente, che mi sto incazzando di brutto!"
Cinzia tirò su col naso, guardò Giorgio con uno sguardo gravido di nuove lacrime e parlò.
"Ma te l'ho già detto! Ho paura! Tu sai come prendermi e così l'hai saputo, ma ti prego, dimenticalo. Non lo dire ad Olcese! Ti prego".
Gli rivolse uno sguardo implorante, pronta a ricominciare con i lacrimoni.
Il giovane annuì, poi fece uno stanco, blando sorriso.
"Ti posso promettere che Olcese, per un po', non saprà niente di questa tua ... distrazione. Farò finta, per il momento, di non aver sentito niente, da te".
"E promettimi anche che non farai nessuna indagine".
"E dai! No, mia cara; voglio scoprire perché Bruno Spagnolo è andato a fuoco, e lo scoprirò".
La ragazza lo guardò fìsso, con negli occhi un nuovo languore.
"Una volta ti piacevo da impazzire ... sai ... se tu volessi fare all'amore con me, come ai vecchi tempi..."
"... Basterebbe che promettessi di piantare lì la storia, vero?"
Cinzia annuì con lo sguardo invitante; lui sentì un groppo alla gola, ma si sentì dire:
"Vedi; come tu mi hai giustamente fatto notare poco fa, ho anch'io, forse, una ragazza che, magari, mi vuole anche bene; ma anche se non l'avessi e volessi fottere, mi basterebbe un deca per averne una meglio di te". "Non sono una puttana!" "Chi cerca di ottenere qualcosa in cambio del proprio corpo, per me, è una puttana; quelle di strada, almeno, hanno un motivo più nobile per vendersi: combinare il pranzo con la cena. Però hai ragione: non sei una puttana; sei peggio!"
Cinzia ricominciò a piangere.
"Ho paura, lo capisci che ho paura? Sto cercando di barattare il mio corpo con la mia vita. Io non voglio morire! Lo capisci? Non voglio sapere chi è stato ad ammazzare Bruno, perché mi fa paura: ammazzerà anche me!"
Smise di piangere e guardò Giorgio fisso negli occhi.
"Vattene, sei solo un gran figlio di p..." Venne interrotta dal violento manrovescio del giovane che, subito dopo, se ne andò furioso.
Salito in macchina, mormorò una manciata di bestemmie violentissime, accese il motore e, facendo fischiare le gomme e gemere i giunti, si allontanò rapidamente dal "rustico-rosso-mattone".

Cosa faceva Bruno Spagnolo la sera, dalle nove fin verso l'una? Giorgio continuava a chiederselo da un paio d'ore, seduto ad un tavolo tranquillo in fondo ad un'osteria di via Montesuello.

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