Quando, finalmente, riuscirono a guadagnare
l'interno, si guardarono brevemente attorno.
"Abbiamo scordato un piccolo, ma importante particolare: non sappiamo
com'è fatto questo benedetto Aldo Paure; adesso dovremmo levarci
dai pasticci in una qualche maniera. Hai qualche idea furba?"
Gianni fece la caricatura de 'l'uomo assorto', ma dopo un paio di minuti
sembrò illuminarsi e, sorridendo, propose la sua soluzione al problema.
"Direi che potremmo origliare, facendo finta di niente, se in qualche
gruppo c'è qualcuno che viene chiamato Aldo; che ne dici?"
Giorgio mimo, a sua volta, 'l'uomo schifato'.
"Proposta bocciata! Non abbiamo, praticamente, una probabilità
a favore".
"E allora che si fa? Ci mettiamo ad urlare: 'Aldo Paure, se ci sei
batti un colpo'?"
"Non mi sembra proprio il caso. Considerando che ho anche un po'
di mal di testa, proporrei di portare via i tacchi e tentare di ripescarlo
stasera, a casa sua".
Gianni approvò la proposta e perciò, dopo una decina di
minuti, si ritrovarono nella fresca penembra del soggiorno di Giorgio.
O almeno: la stanza che Giorgio, per brevità, definiva soggiorno
anche se, ogni volta che usava questo termine, veniva assalito da feroci
rimorsi.
Era, quello, un vano piuttosto ampio, paragonato al piccolo appartamento
del quale faceva parte (al secondo piano di uno stabile costruito nel
primo decennio del secolo); l'appartamento constava di una cucina, arredata
con mobili componibili e col tipico acquaio genovese, marmoreo; un .piccolissimo
bagno, una camera da letto, occupata da un letto ad una piazza e mezzo,
un capiente armadio, una vecchia scrivania con la saracinesca sormontata
da uno specchio rotondo ed uno sgabello basso; infine il famoso soggiorno
o, come lo definiva lui, "vano plurifunzionale".
Questa stanza era ciò che un inglese avrebbe definito living-room,
stanza-per-viverci; una libreria, scaffali, moquette, due poltrone ed
un divano-letto scompagnato, l'angolo-musica (sinto-amplificatore stereo,
piatto e piastra di registrazione) con i dischi e le cassette, un tavolo
rotondo con quattro sedie di plastica e metallo, una scrivania affollata
da penne, matite, pennarelli di varie misure, la macchina per scrivere,
carte, ricevute ed altro; poi, lampade, cuscini, libri, poster, portaceneri,
carte da gioco, piante vere e finte, tutto in un ordinatissimo guazzabuglio.
Una stanza come l'aveva sempre desiderata, il Giorgio casalingo, dove
ricevere gli amici, dove rilassarsi, o lavorare, dove 'vivere', in una
parola. Un posto piacevole, tutto sommato, dove combattere un mal di testa
armati di vodka e buona volontà, conversando con un amico, come
in quel momento.
"Allora, impiastro, cosa ne pensi di questa faccenda?"
Gianni perse lo sguardo nel vuoto, si raschiò la gola e bevve un
sorso di liquore.
"Beh, penso che è complessa e che difficilmente potremo combinare
qualcosa. Spagnolo non diceva niente a nessuno, se vuoi il mio parere;
la ragione di questa mia convinzione è che, altrimenti, Olcese
avrebbe scoperto il movente. Certo, potremmo avere la fortuna di sentire
la mezza parola che, messa insieme all'idea che noi abbiamo, potrebbe
anche farci capire qualcosa, ma è improbabile".
Giorgio annuì lentamente.
"Ho ricevuto il messaggio: mi stai facendo capire che, se mollassimo,
non avresti niente in contrario. D'accordo, ma cerca di capire: hanno
tentato di farmi la pelle e sanno, evidentemente, dove trovarmi. Prima,
questa faccenda era solo una ... curiosità, ecco; ma adesso ne
va della mia pelle; io che sono contrario a giocare sulla pelle degli
altri, figurati sulla mia! Comunque, se credi che possa diventare una
cosa rognosa, dimmelo serenamente; stiamo parlando anche della tua pelle,
in fondo".
Gianni fece una specie di amaro sorriso. "Capisco
perfettamente perché vuoi continuare e, francamente, mi avresti
un po' deluso se avessi deciso di mollare. Stai tranquillo: se vuoi continuare,
si continua insieme, spalla a spalla, come ai vecchi tempi!"
Negli occhi di Giorgio guizzò un lampo di gratitudine, e sorrise.
"Okei, aspettami; vado a fare il pieno di aspirina e poi decidiamo
la prossima mossa".
Scomparve nel bagno e tornò dopo qualche minuto, mentre Gianni
era intento a scegliere un disco.
"Avevo intenzione di festeggiare il tuo ritorno tra i 'non doloranti'
con un po' di musica; che ne dici di Herb Halpert?"
"Va bene, mettilo
Senti, sono quasi le sette; propongo di cenare
qui, poi ci facciamo un bel caffè, e, verso le otto e mezzo, ce
ne andiamo a cercare il caro Aldo Paure a casa. Ti va il programma?"
"Mi va, ma a patto che non mi avveleni con le tue porcherie".
"Ma va a farti friggere!"
Così, mentre il napoletano sedeva sul divano ad ascoltare la vivace
musica messicana, Giorgio preparò la cena, che consisteva in spaghetti
con pomodoro, panna ed origano, cotolette alla milanese ed una montagna
di patate fritte.
Dopo un accettabile lasso di tempo, Giorgio tornò nel living-room,
portando una fondina colma di spaghetti fumanti, dicendo a Gianni di sedersi
a tavola.
Questi annusò rumorosamente. "Se il sapore è simile
all'odore, questi spaghetti devono essere 'na sciccheria! Buon appetito".
"Anche a te; ma, per carità, non parliamo delle indagini,
mentre ceniamo".
Così, durante il pasto annaffiato da un vino rosso di buona qualità,
i due amici parlarono di cose banali, adatte alla concen-trazione necessaria
per apprezzare appieno la qualità del pasto. Alla fine, Giorgio
si recò in cucina per preparare il caffè: questa operazione,
banale per gli altri, era da lui considerata un rito in piena regola.
"Perché vedi ..." aveva spiegato ad un amico, tempo prima
"... io, il caffè, lo concepisco unicamente col significato
che gli danno nei paesi arabi: il caffè non è la cosa che
si offre agli ospiti così, tanto per offrire qualcosa, il caffè
è la 'Bevanda', con la bi maiuscola, che si offre agli ospiti importanti
ed agli amici 'più vicini al nostro cuore'. Per questo faccio l'impossibile
per farlo ottimo o, quanto meno, eccellente. Più di una volta ho
rifatto il caffè, anche due volte, perché lo consideravo
indegno di un mio ospite".
E ogni volta riempiva la caffettiera e la covava, mentre era sulla fiamma,
con l'attenzione e l'amore di una chioccia, sino al momento in cui spegneva
il fuoco. Allora prendeva un cucchiaino, mescolava il caffè nella
caffettiera ("Altrimenti il primo che verso è acqua sporca,
mentre l'ultimo è fin troppo carico"), ne assaggiava un cucchiaino
ed alla fine, soddisfatto, lo versava nelle tazzine. Ed era sempre un
caffè straordinario, carico da piantarci dentro il cucchiaino.
Giorgio lo sorbiva amaro, salvo quando la bevanda non era all'altezza
del suo palato (molto spesso, fuori casa!); in tal caso metteva zucchero,
la cui quantità era inversamente proporzionale alla qualità
dell'infuso.
Solo il caffè del mattino era privato di queste nobili attenzioni
(veniva, tra l'altro, corretto con due o tre cucchiaini di zucchero!),
"Ma quello mi serve per 'accendere il motore', mica per onorare gli
ospiti".
A volte, avendo la prospettiva di una piacevole serata casalinga con gli
amici e le carte del bridge, preparava lo 'Irish Coffee', con panna e
'whiskey' irlandese. Ma quella serata non era dedicata ai piaceri della
casa e della compagnia, perciò niente panna e whiskey.
Dopo cena ancora un po' di musica, un goccio di porto, quattro chiacchiere
ed, alla fine, si accorsero che le otto e mezzo erano già passate
da un pezzo.
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Fine modulo 19 =======================================
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