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Sapore di clinto (seconda parte)

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Il laconico brigadiere, senza fare commenti (motivo di ulteriore irritazione, questo, per il suscettibile Olcese), venne messo al corrente delle ultime pensate del suo capo.
"Dove sta andando, brigadiere?".
"Ad interrogare la famiglia Spagnolo, come da sue disposizioni, dottore".
"Mi ha telefonato il questore e, menandomelo con il fatto che quella è gente "perbene", mi ha detto che da loro ci devo andare io più rapido del vento.
Perciò lei si occuperà di assassini, violentatori ed altri amici e conoscenti del caro ragazzo ed io mi sorbirò la famiglia "perbene". Vada pure, che devo muovermi subito anch'io".
Mendolia, come suo solito, decise di non sprecare, parole: "Bene".
Mentre se ne andava, Olcese gli dedicò una raffica di contumelie mormorate a mezza voce.
Che andasse al diavolo, lui ed i suoi fottuti telegrammi: mai che parli, che dica quello che pensa.
Del resto era troppo prezioso per il commissario per chiedere che glie lo levassero di torno: era un investigatore nato, un vero cane da tartufi; se non riusciva Mendolia a trovare una traccia, una contraddizione, non ci sarebbe riuscito neanche gesucri-sto. Perciò doveva tenerselo, oneri ed onori.
Salì su un'altra pantera e si fece portare in via Giordano Bruno.

"Commissario, è inutile che lei insista: le ho già detto che il mio povero Bruno ..." Renata Spagnolo si asciugò una lacrima con un fazzolettino di pizzo "... era un ragazzo con pochi amici, ma tutta gente ineccepibile come moralità. Del resto, anche Carlo, l'altro mio figlio, frequenta solo gente degnissima, come le ho già detto."
Olcese si fece rotolare in bocca una locuzione volgare, ma ebbe il buon gusto (potenza dell'educazione!) di non renderla udibile. Erano state tre ore abbondanti di domande fatte alla Spagnolo e non aveva ricavato nessuna informazione che potesse dargli una qualsiasi idea, anche soltanto mezza, porcogiuda, riguardo i motivi del delitto. Aveva saputo solo che il morto era un bambino, così lo definiva la madre, più che santo: non faceva niente che non fosse normale fare a vent'anni, men che mai cose che andassero contro i codici morali e penali!
Il padre poi, buono quello, ne sapeva ancora meno: lui vedeva il figlio solo quando il rampollo era a corto di 'liquido'; allora gli allungava "qualche deca" ed il santo bambino tornava ai suoi (ignoti) trastrulli.
Si congedò dalla 'madre-dignitosamente-inconsolabile', come l'aveva definita tra sé, dal degno consorte, uscì dalla villa, si sedette nella volante e cercò di farsi un quadro della personalità del giovane, stilando qualche nota.
Spagnolo Bruno, nato a Genova il 28/4/57 (Vent'anni compiuti da pochi giorni!). Genitori: Flavio (industriale e cretino) e Renata Rasore (matrona isterica!). Giovane sano, apparentemente senza vizi, buona educazione, bella presenza, un pacco di soldi, auto propria, iscritto all'università (facoltà ingegneria), pochissimi amici ed una ragazza: Righetti Cinzia, circa 20 anni, via Siena 25.
Era a poche centinaia di metri da lì.
"Merillo, portami in viasiena, al venticinque".
L'agente al volante annuì e la Giulia della polizia si mosse sul vialetto.

Il 25 di via Siena era un vecchio rustico, risalente a quando Albaro era aperta campagna (cioè dalla notte dei tempi fino a circa venticinque anni prima), restaurato di recente e tinteggiato col tipico rosso cupo genovese; intorno alle finestre aveva un bordo color ocra, largo una decina di centimetri ed il tetto aveva la classica copertura ligure di lastre d'ardesia.

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Olcese pigiò brevemente il pulsante del citofono e, dopo una breve attesa, sentì la piacevole voce di una giovane donna chiedere chi fosse.
"Sono il commissario Olcese della Questura. Dovrei porre alcune domande alla signorina Cinzia Righetti, se è in casa".
"Sono io ma, per favore, faccia inquadrare il suo tesserino alla telecamera; è alla sua destra".
'Potenza dei soldi' pensò Olcese, mentre tirava fuori il tesserino e lo mostrava al freddo occhio della telecamera. Quasi subito sentì uno schiocco attutito, allora spinse il massiccio portoncino di legno ed entrò nel giardino.
Si trovò davanti una magnifica ragazza con lunghi ed ondulati capelli neri; alta quasi quanto lui, sul metro e settantacinque, aveva una bocca sensuale, un nasino delicato leggermente all'insù ed occhi verdissimi che sembrava risplendessero di luce propria; il tutto racchiuso dall'ovale purissimo del viso.
Il corpo snello aveva tutte curve giuste (senza esagerazioni, come piaceva a lui) ed al loro giusto posto.
Unici particolari che stonavano, sul volto della ragazza, erano gli occhi arrossati di chi ha pianto molto ed un insano pallore del viso, già ambrato dalle prime esposizioni al sole ormai caldo.
Prima che Olcese parlasse, gli diede una stretta di mano decisa ed asciutta (quanto il commissario odiasse quelle strette di mano umide e mollicce, era addirittura oggetto di battute in questura; soprattutto dopo che Olcese aveva definito una di quelle strette "come stringere un gatto morto annegato") e, con voce ferma, si presentò: "Sono Cinzia Righetti. Scusi la diffidenza, ma sa, di questi tempi..."
Il commissario annuì brevemente, sorridendo, e si presentò a sua volta.
"Sono il commissario Antonio Olcese della questura; gradirei farle delle domande su ..."
La ragazza annuì e lo pregò di seguirlo all'interno senza fargli neanche concludere la frase. Venne condotto in un soggiorno arredato con mobili modernissimi e con quelle poltrone soffici e bassissime che detestava. Il detestarle non gli impedì, comunque, di sprofondare in quella che gli indicava la giovane e ritrovarsi, perciò, con le ginocchia a pochi centimetri dal naso.
"Signorina, capisco quanto le possa costare rispondere alle mie domande, ma sono costretto a farle, lei mi capirà..."
"Capisco, commissario, e sono pronta a rispondere. Ma prima, gradisce qualcosa da bere? Non faccia complimenti, con la scusa che è in servizio". Era una ragazza padrona di sé ed Olcese aveva l'impressione che fosse dotata di molto senso pratico.
La giovane tornò, poco dopo, con due Tuborg e due bicchieri su un piccolo vassoio di legno; versò le birre, avendo cura di non fare schiuma, ne porse un bicchiere ad Olcese e si sedette, compostamente, su un'altra poltrona.
Il commissario lasciò trascorrere qualche minuto, assaporando la fresca bevanda; poi venne al dunque.
"Bene, signorina, vorrei che lei mi parlasse di Bruno Spagnolo. Ho saputo dalla madre che lei era la sua ... fidanzata e, quindi, vorrei che mi raccontasse tutto quello che sa di lui: i suoi gusti, le cose che amava e quelle che odiava, i suoi progetti, tutto, in una parola. Scusi la domanda così vaga, ma l'unica immagine che ho di lui è quella che mi hanno dato i genitori; ma sa, i genitori di solito..."
La ragazza fece una breve pausa per riordinare le idee, poi rispose.
"Io, Bruno, l'ho ... l'avevo, cioè, conosciuto in casa di amici, ad una festa. E' stato nel dicembre dell'anno scorso, credo la sera dell'Immacolata. Ci siamo trovati simpatici; io ero libera da una settimana, dopo essere uscita per un pò con uno, lui era stato

piantato da una ragazza circa venti giorni prima; così, prima di Natale, ci siamo trovati a fare coppia fissa. Era un pò timido, taciturno, introverso, ma gli volevo bene: era dolce, affettuoso, sempre pronto a dire quelle cose che una ragazza ama sentirsi dire. L'unica cosa che non mi andava tanto, era la sua assoluta mancanza di umorismo ed il suo voler essere sempre il primo, il migliore. I suoi erano riusciti a farlo riformare, così non aveva fatto il militare. Stava studiando ingegneria e voleva specializzarsi in elettronica per poter, un giorno, essere alla testa dell'azienda del padre, la "Flaspan Institute of Technology essepià"; è una fabbrica di banchi didattici elettronici ed è chiaro che, avendone le capacità, una laurea in elettronica era utilissima. La nostra relazione non ha storia: dopo quindici giorni ci è capitata l'opportunità di fare all'amore e lo abbiamo fatto. Non era quel che si può definire un'amante impetuoso, ma lo si faceva. Una persona calma, ponderata, calcolatrice nonostante i suoi vent'anni. Se le potesse interessare era anche un bel ragazzo. Comunque, commissario, Bruno Spagnolo era tutto qui".
Cinzia bevve un altro sorso di birra e guardò Olcese negli occhi. Lui si sorprese ad abbassare lo sguardo: effettivamente quella ragazza, con la sua semplicità e con la sua franchezza lo spiazzava.
Riflette un istante, bevve anch'egli un sorso di birra e cercò, oziosamente, di capire il colore degli occhi della ragazza: notò, infine, che erano screziati da pagliuzze d'oro.
"Adesso mi dica: Bruno si interessava di politica?"
"Commissario! Bruno non sapeva neanche i nomi dei partiti, a momenti! No, no, niente politica; anzi, litigavamo per questo suo disinteresse ... Perché io ritengo che la nostra generazione debba lottare per fare un mondo migliore e ... ma forse questo non le interessa, lei non è mica venuto qui per ascoltare le mie idee politiche!"
"No, no, continui invece, la prego: mi interessa moltissimo sapere come la pensano gli altri, mi aiuta a non fare facce strane quando sento certi discorsi". Accompagnò la frase con un caldo sorriso; la ragazza, a sua volta, fece un sorriso divertito ed annuì.
"Come vuole, basta che poi non si penta. Dicevo che dobbiamo lottare, ma non come i Nap o le BR, bensì con le idee e l'esempio. Solo così si potrà ottenere un mondo di individui più uguali di quanto siano ora. Ognuno, per esempio, dovrebbe avere le stesse chances nella vita, senza riuscire solo perché è figlio-di-papà, ma solo grazie alla sua intelligenza ed alla sua buona volontà. E ciò in un mondo dove la libertà di un individuo finisce dove comincia quella degli altri. Le sembra valido, anche se utopistico, il discorso?" Domandò Cinzia al commissario, preoccupata ed imbarazzata dagli occhi sgranati e dall'espressione stupita di Olcese.
"Sì, sì ... solo, volevo chiederle: è farina del suo sacco, questa, o lo ha ripreso da qualcuno? Sa, questa sua esposizione mi ricorda una certa persona".
La giovane lo guardò con un'espressione tra il divertito ed il preoccupato.
"Mi prometta che non lo arresta: erano le idee del mio ragazzo di più di tre anni fa, si chiamava Giorgio Zanelli".
Olcese si pentì mentre la diceva, ma ormai gli era scappata. E Cinzia, sentendo quella notissima parola genovese, non precisamente elegante, rimase come schiaffeggiata. Il commissario assunse un'aria molto imbarazzata e mormorò uno "scusi" che appena si sentì.
La ragazza, timidamente, cercò di capire il motivo dell'inattesa reazione con un'accavallarsi di domande.
"Ma... sì, cioè... come dire... lo conosce? Cioè, ha avuto a che fare con la questura? E' nei casini?"
Vedendo l'espressione preoccupata della giovane, Olcese si trovò, suo malgrado, a riderle fragorosamente in faccia.
"Non ha smesso di volergli bene eh, signorina? Non si preoccupi: conosco quel lazzarone perché abita accanto a me ed è un mio carissimo amico."
La risposta che ottenne, sembrò uscire dalle gelide profondità di un potente congelatore.
"Questi sono affari che temo non possano riguardarla minimamente, commissario; comunque, del Signor Zanelli ..." e pronunciò il "signor" con la maiuscola "... non mi interessa assolutamente niente. Lei, dottor Olcese, è venuto in questa privata abitazione, senza esibire un regolare mandato e mi ha sottoposta ad interrogatorio, senza che un legale di mia fiducia potesse fornirmi la sua assistenza. Io, tuttavia, ho risposto alle sue domande per pura cortesia, cortesia che, però, non la autorizza a fare illazioni di sorta sulla mia vita privata!"
'Pesa, incarta e porta via' pensò Olcese, che si sentì sprofondare; non che le obiezioni della ragazza fossero formalmente esatte (chi aveva chiesto notizie di Giorgio?), ma la lezione gli sarebbe servita per ricordarsi il comportamento di una persona civile!
"Le chiedo infinitamente scusa, signorina: io non volevo ... vabbé, lasciamo perdere. Vuole essere, ora, così gentile da voler continuare questa conversazione così, alla buona, o preferisce che mandi il mio brigadiere a raccogliere una sua regolare deposizione?"
"Per carità, basta poliziotti per casa, andiamo avanti!"
Olcese ebbe l'impressione di scorgere l'ombra di un sorriso ironico, sul volto della giovane, ma non ci avrebbe giurato.
"Come crede e ... mi scusi ancora. Ora vorrei farle una tipica domanda da poliziotto, se lei mi permette: come ha trascorso la serata e la prima nottata del ventidue scorso?"
"Commissario, mi aspettavo che lei mi chiedesse se avevo un alibi per la sera del ventidue maggio millenovecentosettantasette, con le lampade in faccia e tutto il resto, non una domanda così timida!"
Sorrise e fece la battuta per far capire ad Olcese che aveva accolto le scuse e che gradiva il tono informale del colloquio.
"E' solo una domanda rituale, ma non vedo perché dovrei farla come un detective da film poliziesco; anche i poliziotti hanno un'anima e sensibilità e tutto il resto come le persone normali. O quasi".
Accompagnò la frase con un rapido sorriso.
"Touché! Comunque, quella sera, sono stata ad una festa in casa di una mia amica. Da sola, Bruno mi aveva detto che non si sentiva bene".
"Va bene; adesso dovrò continuare con le domande su Bruno, tanto per conoscerlo un po' di più. Lei, signorina, saprà meglio di me che nella zona c'è gente ... sì, insomma, non è proprio che buchi, che usi roba pesante, ma ... sì, beh, magari uno spinellino ... sa, tra amici..."
"Non credo: Bruno era troppo 'quadrato' per certe cose. Lui, anzi, disprezzava i drogati. No, è assolutamente da scartare".
Disse drogati come Olcese avrebbe pronunciato lebbra o rogna, con disgusto ed imbarazzo, guardando il commissario, che aveva fatto la ripugnante ipotesi, con lo stupore degno del caso che gli fossero spuntate le ali.
Olcese cancellò, mentalmente, l'ipotesi droga.
"Allora proviamo a cercare qualcos'altro. Lei, poco fa, ha detto che Bruno non si poteva definire ... un amante impetuoso, ha usato queste parole. Non voglio assolutamente fare basse insinuazioni fini a se stesse ma, nel mio lavoro, devo prendere in esame qualsiasi ipotesi, lei mi capisce. Sì, insomma, non è che, alle volte, Bruno Spagnolo fosse ... un po' diverso?"
"No, non ho mai avuto motivo di sospettare niente del genere. Bruno era un timido, forse, ma non sempre; se, però, le basta questo per giudicare uno un omosessuale ... siamo in buone mani!"
Cinzia aveva cominciato il periodo con voce pacata, ma poi si era man mano infervorata tanto che, ad Olcese, quel "mani" sembrò una frustata in viso.
"Signorina! Non si scaldi tanto! Era soltanto un'ipotesi come un'altra! Mi scusi, sa, ma io il suo fidanzato mica lo conoscevo!"

================================ Fine modulo 5 ========================================

 

"Non era il mio fidanzato: stavamo insieme e basta; si andava a ballare, a cena, fuori con gli amici, si faceva all'amore e ci si voleva bene. Tutto qui, senza promesse di eterno amore, matrimoni futuri e balle varie. Mi scusi, commissario, ma la sua morte mi ha scosso più di quanto pensassi: perciò straparlo; mi scusi ancora".
Accompagnò le scuse con un sorriso tale che l'uomo decise di scusarla per qualunque cosa potesse aver fatto, dalla nascita sino al suo ultimo giorno.
Olcese fece, a sua volta, un sorriso cordiale, da amico.
"Non si preoccupi, capisco perfettamente: purtroppo il mio lavoro mi porta spesso a contatto con gente sconvolta dal dolore, che può 'straparlare' ben più di lei. Un'ultima domanda e poi tolgo il disturbo: le è sembrato che Bruno ... (si trattenne dall'aggiungere il cognome, pensava che la ragazza si sarebbe sentita più a suo agio), in questi ultimi tempi, fosse ... strano? Cioè, per esempio: nervoso, irritabile, distratto; cose così, insomma?"
"No, commissario". Poi aggrottò la fronte ed il suo sguardo si perse nella contemplazione di un punto imprecisato alle spalle di Olcese. "Cioè ... beh, adesso che mi ci fa pensare ... sì, forse un po' più nervoso ed irritabile lo era. Ma niente di trascendentale, probabilmente la colpa era della madre".
Olcese la guardò incuriosito. "In che senso 'colpa della madre', mi scusi?"
"La signora Renata è una donna ... possessiva, ecco! Cioè, per esempio, era gelosa di me perché gli rubavo il figlioletto, il suo bambino; così rompeva a tempo pieno con me e con Bruno".
"Ho capito; ma di solito, questo comportamento è da madre di figlio unico, invece Bruno aveva anche un fratello, Carlo".
"Perché lei non ha mai assistito ai litigi tra Carlo e sua madre. La madre che cominciava a piangere perché Carlo usciva la sera; Carlo che le diceva di non rompere le scatole e lei che continuava a chiedersi, ad alta voce, con che razza di donnacce fosse finito il suo povero bambino. Allora Carlo le diceva di piantarla di rompere le scatole e di andare a farsi benedire; così altro non otteneva che farla ricominciare da capo aggiungendo ipotesi sulle nefandezze che "perpetravano", letteralmente, al suo povero bambino. Carlo si ripeteva, a sua volta, e aggiungeva qualche esplicita destinazione per la madre; e lei, sempre piangendo, ricominciava daccapo e poi chiamava tutti a testimoni della sua triste sorte di madre di un bambino indifeso, traviato da luride troie. E andavano avanti così per un pezzo, tutte le sere".
""E come andava a finire?" Olcese era interessatissimo: come chi comincia per caso un giallo dalla copertina poco interessante e che, infine, scopre una trama avvincente.
Cinzia sbottò in una risata divertita; poi, pur brillandole maliziosamente gli occhi, fece un viso indifferente e concluse:
"Niente: che Carlo usciva sbattendo la porta di quel nido di pace, un colpo da far tremare i vetri, mentre il padre guardava un po' la moglie ed un po' la porta da sopra gli occhiali a lunetta, seduto in soggiorno a leggere il giornale; la madre che piangeva e che diceva al marito di fare qualcosa e di non stare lì come un idiota e la colf che, come suo solito, correva a piangere in cucina. Quanto a Carlo andava, come tutte le sere, ad incontrare i suoi amici per stare a chiacchierare fino all'una del mattino. Ho assistito solo una volta alla sceneggiata, ma Bruno mi ha giurato che era del tutto identica alle altre volte".
Cinzia scosse dolcemente il capo e commentò:
"Io, quella casa, l'ho sempre giudicata una gabbia di matti".
Olcese fece un breve cenno del capo per assicurare la giovane che concordava col suo giudizio; facendo così, però, il suo sguardo sfiorò il quadrante dell'orologio. "Le sette emmezza! E' tardi, devo proprio andare! Un'ultima indiscrezione, signorina: i suoi a che ora arrivano?"
"I miei sono divorziati; comunque mio padre è fuori Genova e non tornerà prima di dopodomani, commissario. Ma non si preoccupi, me la cavo benissimo anche da sola. Allora lei deve proprio andare?"
"Eh sì, signorina; mi scusi per tutto il tempo che le ho fatto perdere e ... beh, buonasera".
Si alzò e porse la mano alla giovane, che si alzò a sua volta e gli regalò, come viatico, un sorriso che giudicò cordiale, anche se irresistibile, per uno scapolone come lui.
"L'accompagno".
Arrivarono sulla porta, si diedero nuovamente la mano ed il commissario si avviò verso il portoncino.
"Dottor Olcese!" Era quasi arrivato a premere il pulsante della serratura a scatto, quando si sentì chiamare dalla morbida voce di lei.
"Volevo dirle una cosa ... non pensavo che i poliziotti fossero così ... umani; sì, cioè ... ecco, mi è stato utile sfogarmi con lei, la ringrazio e mi scusi ancora per i miei scatti d'ira, ma sa... Se ci fossero degli sviluppi, si faccia vivo, la prego".
Olcese rimase come ipnotizzato dallo sguardo di lei, caldo come un maglione da sci, e quando riuscì ad aprire bocca per assicurarle che l'avrebbe tenuta al corrente, era già sparita dietro la porta irrimediabilmente chiusa.
Uscì, salì sulla volante e svegliò l'autista che si era assopito. "Portami alla pizzeria Centrale".
Accarezzò l'idea di fare un rapportacelo all'agente, per la sua pennichella, poi bocciò l'idea: lui, al suo posto, avrebbe forse fatto diversamente?
"Ah, Merillo; dopo vattene pure in questura, che per oggi basta, va!"
Fu così che il commissario Antonio Olcese si ritrovò a cenare con una pizza ed una birra, pensando alla bella Cinzia, borbottando cose senza senso e sperando di avere rapidamente degli sviluppi per poterla rivedere.

Le indagini procedevano come un lavoro di routine, lentamente, giorno dopo giorno. Olcese, ogni sera, si leggeva e rileggeva tutti i verbali alla ricerca dell'Indizio, dell'Idea, ma era nebbia. Questo fatto, unito alle incessanti pressioni dall'alto, gli aveva rovinato digestione, sistema nervoso e, conseguenzialmente, anche i rapporti con colleghi e collaboratori vari.
Erano già passate più di due settimane, da quella mattina di maggio, e non si sentiva più il chiaccherìo degli studenti che passavano davanti alla questura. Il liceo era chiuso e fino a settembre non li avrebbe più visti trotterellare verso il portone mentre la campana suonava.
Si rendeva conto, ormai, che non c'erano più probabilità di risolvere in qualche maniera quel caso: la sua esperienza gli aveva insegnato che, se non saltava fuori una possibile via d'uscita in dieci, quindici giorni al massimo, tutto l'incartamento finiva in archivio, l'anticamera dell'inceneritore.
Ma lui, cocciutamente, voleva arrivare in fondo a questa storia. Ne aveva fatto una questione di principio: non voleva lasciar libero di andare, venire, ridere, mangiare, fare all'amore, vivere, in una parola, quel bastardo del tubo e del cerino.
Prese daccapo in mano il rapporto della scientifica, che aveva controllato accuratamente i resti dell'auto; lo rilesse attentamente, fermandosi e riflettendo persine sulle virgole. Ormai lo conosceva a memoria, tuttavia lo scorse dall'inizio alla fine: quelli della scientifica non avevano trovato niente, a parte il buco nel serbatoio, che non si aspettassero di trovare; e niente che mancasse, a parte la spiegazione dei perché di quell'omicidio. Alla fine lo lasciò cadere, scoraggiato, sulla scrivania.
Prese, allora, il rapporto di Urgu sul quale lesse, per la cinquantesima volta, che Bruno Spagnolo era morto per frattura della base cranica, frattura dovuta a eccetera-eccetera, che oltre alla cena, consumata a casa, aveva mangiato una pizza e bevuto una birra, che il suo cadavere era stato messo al posto di guida, cosparso di benzina e scaraventato giù dalla scogliera, con macchina e tutto; che non sembrava fosse dedito a pratiche omosessuali, all'uso di sostanze stupefacenti o all'etilismo.

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