Here's GENOVA

Sapore di clinto (quinta parte)

Home Page
alla Biografia
1a Parte
2a Parte
3a Parte
4a Parte
6a Parte
7a Parte
8a Parte
9a Parte
10a Parte
11a Parte
12a Parte
13a Parte
14a Parte
15a Parte

"Ti ringrazio, mi sarà utile. Vuoi sapere come vanno le cose o preferisci giocare allo struzzo?"
Lei lo guardò, con calma. "Sì, se mi tenessi informata ..."
Quella fotografia non andava bene, riflette Giorgio: il viso era solo un particolare poco dettagliato e troppo piccolo, mentre a lui occorreva un primo piano. Perciò, quando fu a casa, ricavò un ingrandimento dalla fotografia. Fece, con la sua Canon, una fotocopia dell'istantanea; poi sviluppò la pellicola in maniera da ottenere un negativo quanto più nitido possibile. Dopo aver preparato la sua camera oscura, da dilettante, stampò i negativi ingrandendoli molto. Ottenne un primo piano di piccolo formato, non eccessivamente nitido, ma si accontentò del risultato: fin troppo buono, per la sua capacità e la sua attrezzatura.
Aveva appena steso le foto ad asciugare quando squillò il telefono: era Titta.
"Ciao, amore! ... no, non c'ero ... sì, sono uscito, sono andato da Cinzia ... no, è che aveva fatto un brutto sogno ed era molto scossa. Inoltre dovevo farmi dare una foto di Bruno ... sì, molto presto ... no, non mi aveva detto la ragione ... ma cosa vai a pensare, su! ... ma figurati! No, senti... no, aspetta ... ma guarda che ... mannò! ... ma di un po' ... No, senti, adesso mi lasci parlare; non è assolutamente quello che pensi tu ... ma ti do la mia parola ... massi! ... ma senti un po': tu mi telefoni a quest'ora del mattino per farmi una scenata di gelosia? ... ma senti ... ma dì un po'... beh, allora senti, vattene un po' al diavolo, va!"
Cominciò in quel momento a sentire il rimpianto di quell'avventura mattutina mancata, ma oramai il latte era versato ed il suo buon umore era sparito: lo aspettava una giornata in compagnia dei bruciori di stomaco.
Mancavano pochi minuti alle nove, quando Giorgio passò a prendere l'amico. L'amarezza della mattina era stata stemperata dalla splendida giornata di sole.
Mentre si dirigevano verso il centro, verso Pré, nessuno dei due parlò. Giorgio era contento che Gianni avesse accettato di accompagnarlo; sapeva di potersi fidare. Ricordava, con una punta di tenerezza, quegli schifosi tredici mesi di militare, passati insieme a difendere i 'Sacri confini della Patria' a ben cinquecento chilometri dalla loro Genova, in Veneto.
Entrambi nati sul mare, che vivevano sul mare, in Veneto a fare gli alpini. Dovevano andare a Santo Stefano di Cadore, nelle truppe di arresto, ma uno dei tanti misteri della vita militare li fece destinare al comando di brigata, come scritturali.
La vita militare strisciò sulle loro esistenze, come una lumaca, lasciando una traccia che solo il tempo avrebbe potuto affievolire. Pensò ai giuramenti di eterna amicizia scordati da tempo, al loro comandante, alle fughe, ai piccoli trucchi per tirare avanti, alle serate dedicate alle carte, alla pizza di 'Gigino', ai grappini, ai film stupidi, squallidi, vagamente pornografici che si andava a vedere e, anche, a quella sera, quella sera che sentirono il 'loro' Silenzio-Fuori-Ordinanza; quella tromba che sembrava piangere la loro partenza e cantare la loro gioia mentre erano sul piazzale, con gli occhi lucidi, pensando a quel foglio con su scritto 'Congedo Illimitato' che avrebbero avuto l'indomani.
E i due erano sempre rimasti insieme: si erano confidati, consolati, divertiti, persine difesi assieme. Si sentivano, dopo quegli odiati mesi, più che fratelli. Lui sapeva che l'amico, dietro quell'aria così placida, così pacata, sapeva far fronte a qualunque situazione, usando il cervello o le mani, a seconda dei casi. La naja era finita da anni, oramai, ma Giorgio era riuscito a conservare quell'amicizia "tra ex schiavi", come amava definirla il napoletano.
"Allora, Gianni, stammi un po' a sentire. Adesso andiamo al bar Lussemburgo; non so se lo conosci, è un ritrovo di omosessuali. Tu devi entrare, andare al banco ed ordinarti qualcosina.
Dopo pochi minuti arrivo io e comincio a chiedere in giro se qualcuno conosceva 'sto qua ..." e tastò la tasca del giubbetto, dov'era la foto di Bruno Spagnolo. "... Quando esco tu aspetti un poco ed esci. Se scoppia qualche casino, ci mettiamo schiena contro schiena e ci copriamo reciprocamente puntando verso l'uscita. Poi, fuori, via rapidi come il pettegolezzo. Okei?"
"Capito. Solo una domandina: ti conosce qualcuno, lì dentro?"
"No, perché me lo chiedi?" Gianni sorrise. "Te li vedo, a rispondere alle domande di un tizio mai visto né conosciuto. Sì, ti verranno subito a dire se lo conoscono e loro da quanto tempo sono nel giro e come hanno cominciato e a che età ..."
"Capito, spiritosone, capito, dacci un taglio! Ho bisogno di una lettera di presentazione, no? E allora andiamo a farcela fare. C'è un mio amico travestito che ..." "Come hai detto?" Giorgio scoppiò in una serena risata. "Già, non te l'ho mai detto. Ho un amico travestito, che si chiama Morena, e che ho conosciuto diversi anni fa. C'era un mio amico che si drogava e io volevo aiutarlo ad uscire dal giro; mi era giunta voce che andasse a casa di un travestito, Morena appunto, a 'fumare'. Così sono andato a casa sua, l'ho conosciuta e le ho spiegato il caso. Al che lei (scusami, ma la consideravo una 'lei', non un 'lui'), si è messa a urlare che non era vero, che se beccava qualcuno in casa sua a drogarsi lo disintegrava, eccetera".
Gianni approfittò della pausa dell'amico per commentare. "Già, ce lo vedo il 'petalo-di-rosa' picchiare qualcuno".
Giorgio fece il sorriso che riservava agli scettici. "Aspetta a vederla, prima di parlare. Beh, ti dicevo: ha chiesto in giro, credo che abbia anche pestato qualcuno, ed è venuta a sapere dove il mio amico andava a fumare. La storia del mio amico è andata dove doveva andare, ma quella preziosa amicizia è rimasta".
Gianni sollevò un sopracciglio e lo guardò. "Preziosa?" Giorgio annuì. "Preziosa! Come quella volta che mi hanno 'fatto' il portafogli: sono andato da lei, le ho raccontato il fatto e le ho chiesto di farmelo riavere, se le fosse stato possibile; tempo una settimana ho trovato in cassetta, a casa, una grossa busta tassata con dentro il portafogli, i documenti, persino i soldi fino all'ultima lira, pensa!"
"Però ..."
"Allora le ho telefonato e le ho detto di ringraziare chi me lo aveva mandato, se lo conosceva. E quella vecchia pazza si è messa a ridere e mi ha detto "Vai, vai, che il tuo nome è come la merda, attira guai e non lo vuole nessuno!". Poi ha riattaccato che rideva sempre come una matta".
"E tu, per ringraziarla, cos'hai fatto?"
"Ogni Natale le regalo un soprammobile, ha la casa arredata con mobili antichi e ci tiene moltissimo".
Poi tacquero, mentre Giorgio infilava la macchina nel dedalo di vicoli del centro storico di Genova parcheggiando, infine, in una piazzetta. Raggiunsero la prima porta di Vico delle Giarrettiere, una specie di magazzino, e Giorgio, appena entrato, fu investito dalle effusioni di un quintale molto abbondante di travestito, peso che fece ricredere Gianni sul petalo-di-rosa: la taglia era quella di uno scaricatore del porto, nero di capelli; l'individuo faceva, però, pensare ad una pettoruta popolana, finita in quel buco direttamente da una stampa del secolo scorso.
Giorgio 'la' prese sottobraccio e 'la' condusse nell'angolo più lontano dall'ingresso mentre Gianni, sedutosi di fronte alla televisione accanto a due ragazzotti con la faccia da teppisti, continuava a chiedersi se considerare quel massiccio personaggio 'pittoresco' o 'pittoresca'.
I due confabularono per un pezzo e, alla fine, tornarono verso la porta; Giorgio, con un sorriso soddisfatto, ammiccò all'amico. La grossa Morena fece sloggiare i due ragazzotti, prese uno scialle leggero e, dopo aver fatto uscire i due amici, chiuse la porta e s'incamminò per il vicolo.

================================ Fine modulo 13 =======================================

Mentre la seguiva, Morena diede a Giorgio l'impressione di una foto aerea che ritraeva un incrociatore, solenne, maestoso, sicuro della sua potenza che, fendendo le acque, apriva la strada a due cacciatorpediniere (lui e Gianni). Gli parve un'idea buffa; ma come poter, altrimenti, descrivere l'incedere, a dir poco trionfale, del travestito?
Tutti i capannelli si aprivano per lasciarli passare, le conversazioni cadevano, mentre tutti assumevano un'espressione di deferente rispetto; eh sì, Morena era una vera potenza, in quella specie di corte-dei-miracoli. Era un isolato occupato, salvo rare eccezioni, unicamente da travestiti e prostitute, e tutti preferivano non farsi nemica la smisurata Morena; era ormai leggenda la volta che era riuscita a sbarazzarsi di tre marines americani ubriachi che, armati di coltello, la avevano aggredita per rapinarla; o quella volta che... ma non sarebbe bastata una serata, Giorgio se ne rendeva conto, per rievocare tutte le volte che Morena ...
Lei voleva tranquillità nella zona: più tranquillità significava meno polizia.
Questi pensieri si affacciavano alla mente di Giorgio, mentre seguiva la scia di profumo a poco prezzo di quella specie di bulldozer umano. Quella si fermò così all'improvviso che, per poco, i due amici non la urtavano; anzi Gianni, nonostante il brusco arresto, non riuscì ad evitarla, scontrandola sulle imponenti natiche. Quella specie di armadio si volse, guardò il napoletano e, con un sorriso complice, gli sussurrò: "Aspetta, al divertimento pensiamo dopo, va bene?"
Gianni ebbe l'impressione che ... ma sì, come se stesse arrossendo; insomma, si sentì avvampare il viso, mentre quel disgraziato di Giorgio rideva come un matto del suo palese imbarazzo. La pala da fornaio, che Morena definiva restrittivamente mano, colpì con violenza una porta, con la vernice scrostata dagli anni, provocando un uragano di maledizioni e bestemmie all'interno; si sentì urlare "Sto lavorando!", seguito dal consiglio, poco amichevole in verità, di andare in un determinato posto a fare una determinata cosa; consiglio che i due amici decisero di non seguire. La loro accompagnatrice, dal canto suo, non si scompose minimamente e si mise ad urlare: "Apri immediatamente, tià, sono Morena!"
La dichiarazione venne seguita da venti secondi di rispettoso silenzio. Poi, un'altra bordata di accidenti e maledizioni. A quel punto Morena si piantò in mezzo al 'caruggio', con le gambe divaricate, i pugni sui fianchi ed urlò, con quanto fiato aveva in gola (che per i gusti di Gianni era decisamente troppo): "Tià, apri immediatamente, sai! Altrimenti ..." agitò una mano con fare teatrale "... ti faccio scoppiare un casino, sai!"
L'amica di Giorgio aveva fatto il suo 'numero' e si era anche divertita, a giudicare dal sorriso che aveva messo in mostra i suoi solidi denti. Giorgio, a differenza dell'amico, non si era minimamente scomposto: era abituato a quel genere di piazzate e riflette sulla frase che Morena aveva urlato: era, probabilmente, la frase che più riecheggiava in quei vicoli raramente illuminati dal sole.
Si sentì un trapestìo dietro la porta che, quasi subito, si aprì con un cigolìo degno di un film di Dario Argento.
Aveva aperto un travestito allampanato, con una parrucca in equilibrio precario e vestito sommariamente da donna; dietro di lui vi era un ometto piccolo e grassoccio, che cercava di rivestirsi il più velocemente possibile, con un'aria preoccupata e sinceramente impaurita, dipinta sui lineamenti floridi. A Giorgio suggeriva l'idea di un agiato agricoltore del basso Piemonte, venuto nella grande città a folleggiare, lontano da occhi e lingue malevole; pensò, divertito, che l'ometto stava giurando, dentro di sé, che mai più sarebbe venuto a Genova con i finocchi, mai più! O, almeno, non prima della prossima volta.
"Cosse ti vöe, Mòre? O l'eo aprëvo a fame un-na marchetta cön sto scemmo chie, che nò ghe vegne mancö düo!"
"Mia, ti me deivi fa ün löu: ti te deivi vesti da ommö e accömpagnà sti me duì amixi da ö bar Lussemburgo. Devan annà a fa de-e domande in giö riguardo a n'amigö do ciù ertö. Se quar-chedun ö comensa a römpighe ö belin, ti ghe dixi che son me amixi e de no stá a fa-me araggià che dunca a ghe römpo a faccia mie, t'ae capiö?"
"Ho capìo, ma ghe devvo proprio annà oua? A st'oua chi o gh'è sempre da louà!"
"Ti ghe vae immediatamente, che se dunca te rompo o murò e tutte e osse, a tic!" (*)
Con la triste prospettiva, di farsi rompere la faccia e tutte le sue povere ossa, il travestito mormorò un assenso e scomparve dentro il magazzino fiocamente illuminato. Dopo pochi minuti, la porta si aprì ed uscì un giovanotto magro, quasi bello, che ricordava solo molto vagamente la 'regina della notte' di poco prima.
Così i due ringraziarono salutando Morena e, scortati dal travestito, si diressero verso il 'Lussemburgo'.

(*) N. d. A. - A chi possa interessare, diremo che il suono x, in genovese, è uguale alla j francese di "je t'aime"; il suono ö è una via di mezzo tra la o e la u italiane e che, per parlare il genovese, sarebbe utile possedere un marcato accento portoghese. (O viceversa!)
Come da accordi, Gianni entrò e, dopo essersi appollaiato su uno sgabello, ordinò una birra. Dopo un paio di minuti entrò anche Giorgio accompagnato dal travestito; bevvero anch'essi una birra e l'omosessuale indicò un uomo grasso, col pizzetto.
Fu da quell'uomo che Giorgio cominciò a domandare. Parlava brevemente, mostrava la foto, ascoltava la risposta stando attento alle esitazioni, alle pause, alle espressioni dell'interpellato. Passò dall'uno all'altro dei presenti e, ogni volta che finiva di parlare, faceva un sorrisone da agente immobiliare che, ad onor del vero, era sempre più forzato col passare dei minuti.
Quando il terzetto uscì dal locale, dopo più di due ore, Giorgio non sorrideva più; gli girava un po' la testa per il fumo, e le scatole per i risultati della serata.
"Allora?" La domanda di Gianni lo riscosse bruscamente da lugubri e rabbiosi pensieri.
"Allora: tu ..." disse indicando il loro accompagnatore "... puoi tornartene a lavorare. Ti ringrazio per la collaborazione e, tanto per non farti perdere completamente la serata, tienti questi".
Gli porse una banconota rosa da diecimila che l'altro prese, ringraziandolo; poi li salutò e scomparve nel dedalo dei caruggi con passo svelto.
Giorgio attese che fosse scomparso.
"Per quanto riguarda noi, a parte la tua sbronza di birra, non abbiamo concluso un cristo di niente. Adesso mi sono rotto l'anima e ce ne andiamo a nannina: io, alle sette di domattina, devo essere in fabbrica e non me la sento di andare a trafficare nei trecentottanta volts assonnato come un gattino".
"D'accordo, anche se è un peccato che non siamo riusciti a combinare niente; comunque torneremo alla carica, tra qualche giorno, no?"
"Non tra qualche giorno: domani stesso, se te la senti; mi sono venuti in mente un'altro paio di posti dove andare a fare il curioso".
Mezz'ora dopo, Gianni stava dormendo il sonno dei giusti e degli esausti, mentre Giorgio continuava a far mulinare, nella mente, le poche tessere del rompicapo che erano in suo possesso.
Pensò che le indagini sembravano essere più complesse di quel che si aspettava e, quindi, rischiava di non riuscire a concludere niente; perciò considerò l'idea di abbandonare l'inchiesta, dopo il tentativo della sera seguente perché, ormai, aveva tanto materiale da poter dare uno schiaffo morale ad Olcese.

================================ Fine modulo 14 =======================================

Si addormentò confortato da questa considerazione.
Si sentiva madido di sudore. Sentiva il cuore battergli rapidissimo; era sveglio, nel suo letto, e qualcosa lo aveva svegliato. Ma non era stato un rumore, un qualcosa di esterno alla sua mente; cercò di calmarsi. Quando fu accettabilmente calmo, analizzò le possibili cause della sua agitazione: un sogno, probabilmente. Poi, qualche brandello dell'incubo affiorò dalle profondità del suo inconscio; ora ricordava: un uomo grasso, con la tuba in testa (anzi, una testa di porco, come le caricature del capitalismo in voga qualche anno prima), che rideva insieme ad altri due maiali (Giorgio non riusciva a ricordare i copricapi che avevano), mentre lui era inseguito da una jeep carica di armi e di banconote.
Cercò di capire il significato di quel sogno spaventevole; pensò che fosse, in qualche maniera, collegato alle indagini e questo lo fece rabbrividire, nonostante la tiepida nottata.
Poi un qualcosa sfrecciò nella sua mente, rapido e luminoso come una stella cadente, ma scomparve prima che potesse identificarla. Intuì che quel qualcosa, quella qualsiasi cosa, doveva essere la chiave di interpretazione dell'incubo; perciò la rincorse, inutilmente, nei meandri della propria mente per un po'; alla fine il sonno e la sua razionalità presero il sopravvento; riflettendo ironicamente su quanto si sognasse, da quella parte della città, scivolò lentamente in un sonno sereno.
Quando il trillìo della sveglia cominciò, sadicamente, a trapanargli il cervello, Giorgio dovette fare uno sforzo per convincersi ad aprire un occhio. (Su, da bravo, almeno uno, mica tutti e due! Dai, uno solo! Così vedrai che bella giornata è oggi e ti verrà la voglia di alzarti ed andare a lavorare! Forza! Ohh-issa! Eccolo aperto!)
La palpebra approssimativamente sollevata, permise all'occhio di farsi un'idea della luce che filtrava tra le stecche della persiana: era grigia. Sentiva il fruscio dei rari veicoli che avanzavano sull'asfalto bagnato, sentiva l'odore di asfalto bagnato, vedeva -col pensiero- l'asfalto bagnato. Decise, dopo questi complessi ragionamenti, che l'asfalto era bagnato: ergo pioveva! Sacramentò ed accarezzò l'idea di girarsi dall'altra parte e riprender sonno, ma un'occhiata astiosa alla sveglia lo informò che mancavano dieci minuti alle sei e che, quindi, se non fosse sbrigato, sarebbe riuscito ad arrivare in ritardo a lavorare.
Raccolse tutta la sua forza di volontà, scalciò il lenzuolo, fece superare il bordo del letto alle sue lunghe gambe e toccò il pavimento con i piedi. Si trascinò, in uno stato semi-comatoso, fino in cucina, dove mise la caffettiera sul fornello, e passò in bagno. Una sciacquata alla faccia, una raschiata col rasoio, una spazzolata ai denti, una parca aspersione di dopobarba e passaggio in cucina per spegnere il fornello prima che il caffè cominciasse a bollire. Era la sua procedura mattutina, svolta col tempismo degno di una gara di regolarità.
Si preparò due uova strapazzate col formaggio, poi fece colazione. Titta, tempo prima, si era scandalizzata per le uova a colazione, ma Giorgio le aveva fatto notare che "ottantacinque chili di solido genovese, indefesso lavoratore e splendido esemplare di maschio, con solo il caffeine non ci fa colazione, ci muore di fame prima delle dieci!"
Trenta minuti dopo le sei, stava convincendo la 127 a mettersi in moto sotto un'acquerugiola decisamente fastidiosa. Quando il motore rispose al secondo tentativo di accensione, il giovane fece scaldare il motore per un minuto, poi cominciò a districarsi dalle due macchine che, parcheggiate a pochi centimetri dai suoi paraurti, sembrava volessero costringerlo a usare l'autobus; alla fine, con buona dose di risolutezza ed incuranza dei paraurti (propri ed altrui), guadagnò la strada sgombra; svoltò in via Cecchi, si diresse verso la Foce dove imboccò la sopraelevata. Pochi minuti dopo, uscito dalla sopraelevata, attraversò Sampierdarena, passò sul ponte che scavalcava il Polcevera e sorrise: anche quella mattina era in perfetto orario.
Per otto ore, anche quel giorno, la sua mente venne assorbita dal lavoro.
Quella sera, alle nove meno dieci, era in via Manuzio, davanti al portone di Gianni. Erano abbastanza curiosi i loro appuntamenti: fissavano un'ora, per esempio le nove, ed arrivavano entrambi con dieci minuti esatti di anticipo. Questo accadeva con una frequenza estremamente alta, circa nove volte su dieci.
L'amico si sedette e Giorgio mosse il veicolo nella corrente di traffico.
"Dunque, Gianni: adesso andiamo in un posto, a fare le solite domande; facciamo come ieri: prima arrivi tu e, dopo un paio di minuti, farò il mio trionfale ingresso".
"Bene. Che posto è, stavolta?"
"Mi dispiace, niente birra. Stavolta andiamo nei giardini pubblici, vicino alla stazione, e non credo che sarà facile, non possiamo contare sulla presentazione di Morena..."
Dopo un quarto d'ora, Giorgio era nei giardini a mostrare la solita foto ed a fare le solite domande.
Più di due ore più tardi, decise che ne aveva l'anima piena, di sentirsi rispondere invariabilmente "non so niente", e decise di andarsene a dormire.
Arrivò alla macchina e venne raggiunto da Gianni.
"Com'è andata?"
"Buca. Niente di niente. Non sanno o, se sanno, non parlano. Del resto il tempo si è rimesso ed è una splendida serata: non credo che ne manchino molti. Perciò..." Si strinse nelle spalle "...rinunciamo. Fine della trasmissione!"
"Dai non ti incavolare; abbiamo saputo molto di più di ciò che sa Olcese e..."
"Non dire belinate! Non abbiamo combinato un accidenti e ciò che sappiamo, lo abbiamo saputo da quella cretina della Cinzia. Poi abbiamo seguito la tua idea, che trovo furba, nonostante i risultati. Però, pur avendo due punti di partenza abbastanza validi, non siamo riusciti a combinare niente: perciò mi sono rotto ed ho deciso che io, con questa storia, ho chiuso!"
Dopo mezz'ora Giorgio era sdraiato sul letto, vestito, con un whisky gigante in mano, meditando sul caso Spagnolo. Decise che l'indomani, avrebbe telefonato a Cinzia e le avrebbe imposto di raccontare tutto ad Olcese.
Di lì a qualche tempo, infine, si addormentò.
Lo squillo dell'odiata sveglia, lo fece tornare alla dura realtà da un sogno, sereno, per quella notte, popolato da splendide fanciulle, ottimamente disposte nei suoi confronti.
Mentre faceva colazione decise che avrebbe sostituito quell'accidente di sveglia con una radio-sveglia; non tra una settimana o un mese: quel giorno stesso! Come usciva dalla fabbrica, sarebbe andato a comprarne una digitale, con una buona radio FM per poter prendere le tante stazioni commerciali di Genova.
La decisione lo aveva messo di buon umore e, di buon umore, partì con l'auto per andare al lavoro. Fece le solite strade ed arrivò alla curva della Stazione Marittima, sulla sopraelevata.
Lì il buon umore se ne andò, insieme alla ruota anteriore sinistra.
L'utilitaria fece perno sul disco del freno, la coda andò a sbattere contro il guard-rail e rimbalzò verso il centro della strada; la vettura si mise per traverso, si rovesciò sulla fiancata sinistra, rimase in bilico sul bordo del tettuccio, poi si rovesciò ancora. Giorgio venne sballottato all'interno dell'abitacolo, come un cubetto di ghiaccio in uno shaker, in una nuvola di briciole di finestrini, scintille, colpi, schianti e cigolìi.

================================ Fine modulo 15 =======================================

1a Parte
2a Parte
3a Parte
4a Parte
6a Parte
7a Parte
8a Parte
9a Parte
10a Parte
11a Parte
12a Parte
13a Parte
14a Parte
15a Parte
Home Page
alla Biografia