"Ti
ringrazio, mi sarà utile. Vuoi sapere come vanno le cose o preferisci
giocare allo struzzo?"
Lei lo guardò, con calma. "Sì, se mi tenessi informata
..."
Quella fotografia non andava bene, riflette Giorgio: il viso era solo
un particolare poco dettagliato e troppo piccolo, mentre a lui occorreva
un primo piano. Perciò, quando fu a casa, ricavò un ingrandimento
dalla fotografia. Fece, con la sua Canon, una fotocopia dell'istantanea;
poi sviluppò la pellicola in maniera da ottenere un negativo quanto
più nitido possibile. Dopo aver preparato la sua camera oscura,
da dilettante, stampò i negativi ingrandendoli molto. Ottenne un
primo piano di piccolo formato, non eccessivamente nitido, ma si accontentò
del risultato: fin troppo buono, per la sua capacità e la sua attrezzatura.
Aveva appena steso le foto ad asciugare quando squillò il telefono:
era Titta.
"Ciao, amore! ... no, non c'ero ... sì, sono uscito, sono
andato da Cinzia ... no, è che aveva fatto un brutto sogno ed era
molto scossa. Inoltre dovevo farmi dare una foto di Bruno ... sì,
molto presto ... no, non mi aveva detto la ragione ... ma cosa vai a pensare,
su! ... ma figurati! No, senti... no, aspetta ... ma guarda che ... mannò!
... ma di un po' ... No, senti, adesso mi lasci parlare; non è
assolutamente quello che pensi tu ... ma ti do la mia parola ... massi!
... ma senti un po': tu mi telefoni a quest'ora del mattino per farmi
una scenata di gelosia? ... ma senti ... ma dì un po'... beh, allora
senti, vattene un po' al diavolo, va!"
Cominciò in quel momento a sentire il rimpianto di quell'avventura
mattutina mancata, ma oramai il latte era versato ed il suo buon umore
era sparito: lo aspettava una giornata in compagnia dei bruciori di stomaco.
Mancavano pochi minuti alle nove, quando Giorgio passò a prendere
l'amico. L'amarezza della mattina era stata stemperata dalla splendida
giornata di sole.
Mentre si dirigevano verso il centro, verso Pré, nessuno dei due
parlò. Giorgio era contento che Gianni avesse accettato di accompagnarlo;
sapeva di potersi fidare. Ricordava, con una punta di tenerezza, quegli
schifosi tredici mesi di militare, passati insieme a difendere i 'Sacri
confini della Patria' a ben cinquecento chilometri dalla loro Genova,
in Veneto.
Entrambi nati sul mare, che vivevano sul mare, in Veneto a fare gli alpini.
Dovevano andare a Santo Stefano di Cadore, nelle truppe di arresto, ma
uno dei tanti misteri della vita militare li fece destinare al comando
di brigata, come scritturali.
La vita militare strisciò sulle loro esistenze, come una lumaca,
lasciando una traccia che solo il tempo avrebbe potuto affievolire. Pensò
ai giuramenti di eterna amicizia scordati da tempo, al loro comandante,
alle fughe, ai piccoli trucchi per tirare avanti, alle serate dedicate
alle carte, alla pizza di 'Gigino', ai grappini, ai film stupidi, squallidi,
vagamente pornografici che si andava a vedere e, anche, a quella sera,
quella sera che sentirono il 'loro' Silenzio-Fuori-Ordinanza; quella tromba
che sembrava piangere la loro partenza e cantare la loro gioia mentre
erano sul piazzale, con gli occhi lucidi, pensando a quel foglio con su
scritto 'Congedo Illimitato' che avrebbero avuto l'indomani.
E i due erano sempre rimasti insieme: si erano confidati, consolati, divertiti,
persine difesi assieme. Si sentivano, dopo quegli odiati mesi, più
che fratelli. Lui sapeva che l'amico, dietro quell'aria così placida,
così pacata, sapeva far fronte a qualunque situazione, usando il
cervello o le mani, a seconda dei casi. La naja era finita da anni, oramai,
ma Giorgio era riuscito a conservare quell'amicizia "tra ex schiavi",
come amava definirla il napoletano.
"Allora, Gianni, stammi un po' a sentire. Adesso andiamo al bar Lussemburgo;
non so se lo conosci, è un ritrovo di omosessuali. Tu devi entrare,
andare al banco ed ordinarti qualcosina.
Dopo pochi minuti arrivo io e comincio a chiedere in giro se qualcuno
conosceva 'sto qua ..." e tastò la tasca del giubbetto, dov'era
la foto di Bruno Spagnolo. "... Quando esco tu aspetti un poco ed
esci. Se scoppia qualche casino, ci mettiamo schiena contro schiena e
ci copriamo reciprocamente puntando verso l'uscita. Poi, fuori, via rapidi
come il pettegolezzo. Okei?"
"Capito. Solo una domandina: ti conosce qualcuno, lì dentro?"
"No, perché me lo chiedi?" Gianni sorrise. "Te li
vedo, a rispondere alle domande di un tizio mai visto né conosciuto.
Sì, ti verranno subito a dire se lo conoscono e loro da quanto
tempo sono nel giro e come hanno cominciato e a che età ..."
"Capito, spiritosone, capito, dacci un taglio! Ho bisogno di una
lettera di presentazione, no? E allora andiamo a farcela fare. C'è
un mio amico travestito che ..." "Come hai detto?" Giorgio
scoppiò in una serena risata. "Già, non te l'ho mai
detto. Ho un amico travestito, che si chiama Morena, e che ho conosciuto
diversi anni fa. C'era un mio amico che si drogava e io volevo aiutarlo
ad uscire dal giro; mi era giunta voce che andasse a casa di un travestito,
Morena appunto, a 'fumare'. Così sono andato a casa sua, l'ho conosciuta
e le ho spiegato il caso. Al che lei (scusami, ma la consideravo una 'lei',
non un 'lui'), si è messa a urlare che non era vero, che se beccava
qualcuno in casa sua a drogarsi lo disintegrava, eccetera".
Gianni approfittò della pausa dell'amico per commentare. "Già,
ce lo vedo il 'petalo-di-rosa' picchiare qualcuno".
Giorgio fece il sorriso che riservava agli scettici. "Aspetta a vederla,
prima di parlare. Beh, ti dicevo: ha chiesto in giro, credo che abbia
anche pestato qualcuno, ed è venuta a sapere dove il mio amico
andava a fumare. La storia del mio amico è andata dove doveva andare,
ma quella preziosa amicizia è rimasta".
Gianni sollevò un sopracciglio e lo guardò. "Preziosa?"
Giorgio annuì. "Preziosa! Come quella volta che mi hanno 'fatto'
il portafogli: sono andato da lei, le ho raccontato il fatto e le ho chiesto
di farmelo riavere, se le fosse stato possibile; tempo una settimana ho
trovato in cassetta, a casa, una grossa busta tassata con dentro il portafogli,
i documenti, persino i soldi fino all'ultima lira, pensa!"
"Però ..."
"Allora le ho telefonato e le ho detto di ringraziare chi me lo aveva
mandato, se lo conosceva. E quella vecchia pazza si è messa a ridere
e mi ha detto "Vai, vai, che il tuo nome è come la merda,
attira guai e non lo vuole nessuno!". Poi ha riattaccato che rideva
sempre come una matta".
"E tu, per ringraziarla, cos'hai fatto?"
"Ogni Natale le regalo un soprammobile, ha la casa arredata con mobili
antichi e ci tiene moltissimo".
Poi tacquero, mentre Giorgio infilava la macchina nel dedalo di vicoli
del centro storico di Genova parcheggiando, infine, in una piazzetta.
Raggiunsero la prima porta di Vico delle Giarrettiere, una specie di magazzino,
e Giorgio, appena entrato, fu investito dalle effusioni di un quintale
molto abbondante di travestito, peso che fece ricredere Gianni sul petalo-di-rosa:
la taglia era quella di uno scaricatore del porto, nero di capelli; l'individuo
faceva, però, pensare ad una pettoruta popolana, finita in quel
buco direttamente da una stampa del secolo scorso.
Giorgio 'la' prese sottobraccio e 'la' condusse nell'angolo più
lontano dall'ingresso mentre Gianni, sedutosi di fronte alla televisione
accanto a due ragazzotti con la faccia da teppisti, continuava a chiedersi
se considerare quel massiccio personaggio 'pittoresco' o 'pittoresca'.
I due confabularono per un pezzo e, alla fine, tornarono verso la porta;
Giorgio, con un sorriso soddisfatto, ammiccò all'amico. La grossa
Morena fece sloggiare i due ragazzotti, prese uno scialle leggero e, dopo
aver fatto uscire i due amici, chiuse la porta e s'incamminò per
il vicolo.
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Fine modulo 13 =======================================
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