UNA
CITTA' PER CANTARE
Rilassatevi: non ho alcuna intenzione di mettermi
a cantare, stante la mia poca estensione vocale ed il mio notevole senso
del ridicolo(1) ; preferisco inoltre conservare
rapporti cordiali con tutti voi e sentirmi cantare, diciamolo, potrebbe
essere già un ottimo motivo per detestarmi.
Semplicemente, cercavo un titolo per questa parte, che parlerà
di luoghi lontani ed i tasti, praticamente da soli, hanno tirato in ballo
il titolo di una bella canzone di Ron, cantante che apprezzo fin dai tempi
in cui era noto come Rosalino Cellamare.
Gli eventi, la curiosità, la vita mi hanno portato a conoscere
alcune città, sia in Italia che all'estero.
Ho vissuto per un certo periodo a Londra, parecchi anni fa, dove ho avuto
la possibilità di sgrossare notevolmente la mia conoscenza dell'inglese;
questa -ormai antica- esperienza mi ha insegnato una cosa che ho capito
essere importante: partendo dall'elementare considerazione che una città
non è fatta solo di viali e di palazzi, ma è anche fatta
da -e per- i suoi abitanti, per conoscere e quindi capire una località
bisogna entrare nei panni, nelle abitudini e, quindi, nella testa di chi
la abita. Per adottare appieno il loro modo di vivere, è essenziale
avere un pochino di umiltà intellettuale, di curiosità e...
il coraggio di mangiare ciò che piace a loro. Quando osservo, con
occhi dubbiosi, una qualche esotica portata, considero sempre che, se
sopravvivono loro...
Nel Regno Unito, per esempio, ho imparato ad apprezzare l'uso nordico
di una sostanziosa prima colazione -pratica che noi archiviamo miseramente
con un cappuccino ed una brioche, quando siamo in vena di stravizi!-,
che permette di tirare avanti, agili e leggeri, fino alla sera, grazie
ad una piccola dose di richiamo sul far del mezzodì (tipo un panino),
anziché il pasto, non di rado greve e di impegnativa digestione
che si consuma alle nostre latitudini(2).
Potrete quindi immaginare il mio spasso a Copenhagen (o København,
secondo la loro grafia), sentendo una mia connazionale, compagna di escursione
(e moglie di un medico, ma prontamente soprannominata la Pesciaia per
lo stile assolutamente inimitabile) vantarsi di aver scovato pizzerie
e ristorantini italiani per ogni sua necessità alimentare.
Copenhagen mi è rimasta nel cuore per la sua bellezza ma, sopratutto,
per la cordialità, la simpatia e la voglia di essere utili con
gli stranieri (quasi imbarazzante per noi scortesi italiani, se proprio
devo dire!) dei suoi abitanti. Gente -mai vista!- che ti incrocia per
strada e ti sorride cordialmente; gente che ti accompagna alla fermata
d'autobus, anziché liquidarti con uno spiccio "giri a destra,
poi la seconda a sinistra" o, peggio, "non sono di qua!";
tutti che parlano inglese, tutti che ti congedano con una bellissima frase
di augurio: Abbi una piacevole giornata, a Copenhagen.
La città che ho trovato più affascinante, però, è
Praga (o Praha, nella loro grafia).
Vi ho già narrato di come l'ho raggiunta a cavallo della mitica
Rossa: provenendo da Pilsen, ho percorso una bella statale che, trenta
chilometri fuori dai primi sobborghi, diventa una comoda autostrada (senza
pedaggio, come in tutti i paesi civili!), alla fine, ci si trova a passare
sotto un'indicazione a portale che annuncia, per chi proseguisse dritto,
il raggiungimento di PRAHA ZENTRUM.
Mi sono fermato sotto a questo portale e l'ho fotografato, con la mia
moto in un angolo: attraversando paesi dalla lingua ostica, azzuffandomi
col cambio di scellini, marchi e corone, dopo aver pagato il carburante
dalle millecinquecento e passa lire al litro -del 1990!-, in Italia, alle
novecentoespicciolelire in Germania, utilizzando un mezzo di trasporto
di cui non avevo lunga familiarità, dopo un... intenso viaggio
dentro me stesso, con caldo e sole, freddo e pioggia, passando davanti
a doganieri indifferenti, affaccendati, pignoli, cortesi, finalmente ero
arrivato: il selciato di Praga era sotto di me!
Se avessi avuto una piccozza ed una bandiera italiana, forse l'avrei piantata
lì, come si usava fare in cima all'Himalaia; la mancanza dei due
articoli in questione mi ha salvato da quest'azione di ridicolaggine vergognosa!
Comunque ero a Praga: sobborghi anonimi, con tetri palazzoni dormitorio
-radi, come se non si fidassero gli uni degli altri-, traffico scarsissimo,
poca gente in giro: una sensazione da Ferragosto in città. Poi,
attraverso strade affiancate da palazzi a cavallo del secolo, tristi,
malconci ed ingrigiti come vecchie barbone vestite di logore pellicce,
mi sono trovato davanti un carrozzone di legno -tipo quelli che avevano
gli zingari prima di scoprire roulottes e Mercedes- con un casalingo striscione,
a mò di insegna, che prometteva Tourist Informations.
Quando venne il mio turno (mi ero messo educatamente in coda, per tirarmela
da straniero!), venni a sapere che avrei potuto affittare un completo
appartamento, arredato e fornito di tutto ciò che ci si aspetta
di trovare in una casa -per la compagnia, però, avrei dovuto provvedere
in proprio!- per una cifra aggirantesi intorno ai 60 DM (ero lieto di
aver accettato il consiglio della cambiavalute al Brennero, che mi aveva
suggerito di cambiare le Lire in Marchi tedeschi anziché in Dollari
USA), cioè circa quaranta biglietti con l'effigie di Marco Polo
(da ciò anche detti marchi italiani, con la minuscola!), da mille(3)
.
Feci una mentale verifica di cassa e dichiarai il mio deciso interesse
per una sistemazione più cheap, più economica.
Vorrei sottolineare che, nel mio periodo praghese, mi espressi in uno
strano idioma formato per l' ottanta per cento di inglese, per un quindici
per cento di francese e tedesco e per il rimanente di italiano e di alcune
parole in altre lingue (che però non trovereste mai in nessun vocabolario
onesto!).
Al di là dell'idea che la cosa possa suggerirvi, riuscivo a comunicare
decentemente, anche se vi assicuro che capire un ceko che parla inglese
con un marcatissimo accento duro, tipo quello tedesco, è un'impresa
praticamente disperata.
A seguito della mia richiesta di economicità, venni dotato di una
dettagliata pianta di Praga e smistato ad un'altra sede della stessa ditta,
raggiungibile seguendo -fedelmente!- il percorso tracciato sulla cartina.
Facile! Solo che guidare una moto sul pavé, schivando le rotaie
del tram, è cosa decisamente incompatibile con le operazioni di
carteggio. E non si può neppure contare sul sedile del passeggero
per appoggiare la mappa aperta...
Dopo aver sbagliato strada due volte (gravissimo, per il mio senso d'orientamento
degno di un buon piccione viaggiatore!), capii che non sarebbe stato uno
scherzo girare quella sterminata città.
Giunto all'indirizzo di cui sopra, riuscii (facendo sfoggio dei miei migliori
occhi dolci, di un sobrio complimento e del mio sconfinato fascino mediterraneo)
a convincere una graziosa ed efficiente signora sulla quarantina a spedirmi
in una specie di Casa dello Studente -nel distretto di Stresovice-, dove
avrei potuto accamparmi per la modica cifra di 30 DM a notte, cioè
circa ventimila lire di allora.
Raggiunto finalmente il luogo ove installare le mie -ridotte, causa moto-
masserizie, mi trovai ad occupare una specie di monolocale adatto a due
studenti, con microfrigo, fornelletto elettrico(4)
e con la stanza da bagno in comune con la camera accanto; imbarazzante,
lì per lì, ma poi basta ricordarsi di chiudere a chiave
anche il bagno, prima di uscire.
Sgusciato -finalmente- fuori dalla mia tenuta da centauro, mi feci gradito
dono di una magnifica doccia, adottai una mise da turista e partii alla
conquista di Praga.
Praga è una città assolutamente affascinante ed incredibilmente
bella; avevo, in seguito, letto un articolo dove l'autore la definiva:
una località per la quale la definizione di meravigliosa è
addirittura insufficiente; sono perfettamente d'accordo.
Ovviamente, i quartieri e le costruzioni di questo dopoguerra sono funzionali,
quindi all'insegna della più assoluta anonimità, un pò
tristi e vagamente squallide, salvo qualche rara eccezione (ma queste
considerazioni si attagliano a qualunque periferia europea, direi!); a
ciò si aggiunga una patina grigiastra, da imputare alla fuliggine
dell'abituale riscaldamento a carbone, e quella ostinata ricerca della
non esteticità tipica dei precetti edilizi di oltrecortina, per
quanto riguarda i palazzi di civile abitazione: insomma, sono quartieri
che non ispirano all'allegria! Però, la città vecchia...
La città vecchia è stupenda: eredità di quando Praga
era un'importante capitale mitteleuropea, nido di arti e di cultura (cultura
che durante il periodo del socialismo reale ha resistito, nonostante l'omologazione
culturale imposta, come brace che covi sotto la cenere). La mia scarsa
cultura architettonica mi porterebbe a definirla barocca, ma con importanti
eredità trecentesche. La Torre delle Polveri, il Ponte Carlo, la
stupenda Piazza San Stanislao, i fitti vicoli medievali (ottimamente illuminati,
la sera), la mitica Piazza san Venceslao, il Castello Hradcany; tutti
questi, ed altri ancora, sono i posti notevoli di questa città
unica. E la Moldava (o Vltava) che scorre placidamente, serpeggiando tra
le innumerevoli colline ammantate di palazzi, castelli, chiese e parchi,
lambendo molti dei piccoli centri che, come un puzzle, formano l'insieme
della città di Praga.
Ho assistito ad un indimenticabile tramonto, col cielo rosso e castano
dietro al castello Hradcany e la luce che si rifletteva nel fiume, solcato
placidamente da cigni, anatre e pacifici battelli; mi è venuto
in mente il verso di una canzone di Roberto Vecchioni (ed a Marco il
Danubio sembrò fosforo e miele): continuo a non capire il senso
della frase ma, grazie a quel tramonto, credo di aver finalmente afferrato
il concetto.
Uno dei luoghi più famosi di Praga è il Carlùv Most,
ponte fatto costruire dal Re Carlo nel quattordicesimo secolo, utilizzando
blocchi di granito scuro e, all'altezza di ogni pilone, con un piccolo
slargo ornato, successivamente, da stupendi gruppi scultorei -rigorosamente
neri- raffiguranti soggetti che si richiamano ai trascorsi storici di
questa terra oppure che sono care al culto cristiano; alle estremità,
due torri fungono da porte e sono culminate da ripidissimi tetti affiancati
da quattro pinnacoli. Questo ponte, interdetto al traffico veicolare,
è frequentato a tutte le ore da turisti in cerca di souvenir e
cecoslovacchi in cerca di un pò di valuta; per ottenerla si industriano
in tutti i modi: chitarristi con una bella voce e repertorio anglosassone,
fantastiche jazz-band, spettacoli di giocolieri, mimi, marionette, pittori
che vendono vedute, che eseguono ritratti e caricature al carboncino,
perfino uno che esponeva soggetti inquietantemente sadomaso. Poi la pletora
di venditori: chi vendeva bibite, chi divise e parti di corredo dell'Armata
Rossa (da pochi mesi convinti a tornarsene a casa!), chi i famosi cristalli
di Boemia, chi ninnoli e cianfrusaglie, chi spille con l'immagine del
loro Presidente, il drammaturgo Vaclav Havel, chi pupazzi o bigiotteria
fatta all'istante. Qualcuno, perfino, vendeva pezzi del filo spinato -infiocchettato
coi colori nazionali- che, fino a pochi mesi prima, rappresentavano l'invalicabile
confine del paese.
Era uno spettacolo continuo ed ho trascorso molte piacevoli ore passeggiando
su queste consunte pietre cariche di secoli e di storia, cedendo anch'io
alla bravura degli artisti ed alle lusinghe dei venditori: una sera ho
acquistato uno dei più immangiabili panini della mia vita; sembrava
farcito di sabbia e segatura. L'attenuante, data la mia genovese oculatezza,
è rappresentata solo dalla quieta avvenenza della giovane venditrice.
C'è anche da dire, inoltre, della generale gradevolezza fisica
di questa stirpe: in un paio di settimane non credo di aver incontrato
una sola persona degna della lapidaria definizione di brutta.
Fonte di grande sorpresa, per me, è stata Vaclavske Namesti, cioè
la mitica piazza San Venceslao.
Quando uno vi dice piazza, voi pensate subito ad uno spazio sgombro di
edifici, in un centro abitato, che può essere grossomodo circolare
(gli inglesi, pignoli, lo definirebbero circus) o più o meno rettangolare,
ma con le due lunghezze simili -od almeno imparentate!-; bene: piazza
San Venceslao è praticamente un largo viale (nell'ordine dei sessanta,
settanta metri), lungo un'enormità (circa settecento!), con ampie
aiuole al centro e due correnti di traffico ai lati. Per chi conosce un
pochino Genova: come se definissero piazza il Viale Brigata Bisagno, sommato
al contiguo Viale Brigate Partigiane, dall'incrocio con Corso Buenos Aires
fino alla Fiera! Lo so anch'io che non la trovavo: l'avevano camuffata
da Boulevard!
Venendo dal fiume, la piazza è pianeggiante fino a metà,
poi inventa una dolce pendenza fino al Museo Nazionale, che la domina
con la sua grandiosità. Poco davanti al museo, ad una cinquantina
di metri, la statua equestre dedicata a questo santo guerriero e, appena
più sotto, un cerchio di pietre stipato di candele, ceri e fiori
freschi, che indica il punto dove Ian Palach si suicidò, dandosi
fuoco, per protestare contro l'invasione sovietica del '67. In quell'inizio
di agosto del '90, quando sembrava che ormai dovesse finalmente... scoppiare
la pace, ricordo la mia gioia ed il mio orgoglio di europeo e di libero
cittadino nel vedere, in mezzo a quei tributi floreali ed a quelle tremule
fiammelle, un cartello con il tricolore e la scritta L'Italia è
con voi.
I ceki hanno grande stima e rispetto per i loro eroi nazionali: recatomi
a visitare il luogo dove furono uccisi dai tedeschi gli attentatori di
Heydrich(5) , ho notato, di fianco alla lapide bronzea
che ricorda l'evento (la mia totale ignoranza della lingua locale mi ha
completamente tagliato fuori dalla comprensione del testo, ma piacendaddìo
là scrivono le date come noi e poi, sulla lastra, sono raffigurati
due paracadutisti, in mesta posizione da lapide funebre, in bassorilievo),
oltre alle scheggiature dei proiettili di mitraglia sulle antiche pietre,
fiori freschi e la foto di Josef Gabchik, uno dei protagonisti del fatto,
vistosamente ritagliata da una qualche pubblicazione.
Tornando alla Praga priva del frastuono cadenzato di stivali militari,
altro punto assolutamente degno di nota è piazza San Stanislao,
magnifico esempio di piazza barocca, con uno stupendo orologio astronomico
-sulla facciata dell'antico municipio- dal quale è possibile desumere
l'ora, la stagione, la fase lunare, la posizione della volta celeste e
dello zodiaco, l'oroscopo personale col calcolo dell'ascendente, la traiettoria
dei missili, il quadrato dell'ipotenusa elevato alla radice cubica della
somma dei cateti, il numero di scarpa del costruttore in multipli del
miglio inglese e cosettine così.
Siccome all'antico artefice l'insieme sembrava poco complicato, a mezzogiorno
parte una sarabanda di figurine animate -raffiguranti gli Apostoli e seguite
da un gallo- che sfilano in alto, suonando la tromba, facendo inchini,
risolvendo il Bozzoli sulla Settimana Enigmistica e via dicendo, allietate
dal suono di una campanella allegramente azionata dalla Morte; all'urlo
di potevamo stupirvi con gli effetti speciali..., insomma. Al di
là di tutto, è una cosa che vale assolutamente la pena di
vedere.
Non vi parlerò del castello Hradcany perché, purtroppo,
Praga era infestata da orde di turisti e fare tre ore di coda -anche se
per visitare questo stupendo edificio, stipato di mirabili pezzi d'antiquariato-,
francamente, non me la sono sentita; spero che non mi odierete troppo,
per questo!
Comunque, questa città è in grado di dare emozioni ad ogni
passo e non mi sembra giusto, in fondo, limitare la vostra voglia di conoscere
decantando alcune cose anziché altre. Andate costà e fruitene
liberamente!
Se cercate l'ambasciata italiana, la potrete trovare in uno splendido
palazzo della Uzov Nerudova, a poche decine di metri dall'estremità
occidentale del Ponte Carlo, in uno stupendo palazzo liberty ornato ad
figure allegoriche: nell'architrave del portone vedrete, a sinistra, la
figura di una vecchina che tende la mano (per dare? Per ricevere? Chi
può dire...?); a destra, invece, l'immagine di un povero disgraziato
che gradirebbe sicuramente, se gli venisse dato qualcosa... Gli stipiti,
infine, sono ornati da due mostrazzi alati -tipo draghi- che, con espressione
tra lo stupito e lo spaventato, sembrano fissare la targa ovale con lo
stellone e la scritta Ambasciata d'Italia con la tipica espressione di
chi pensa: Ma con tutto il posto che c'era, proprio qui, accidenti
al demonio?
Mi ero spinto in cerca dell'ambasciatore per scroccargli uno di quei famosi
cioccolatini, ma mi hanno -gentilmente- fatto notare che, in agosto, non
si possono avere nè cioccolatini, nè ambasciatori...
Segnalo, giusto di fronte, un bar dove è possibile trovare un caffè
all'italiana decente. Inutile farvi notare, data la mia abituale jella,
che il locale in questione l'ho trovato solo il penultimo giorno...
Ultime annotazioni: nell'estate del '90, uno stipendio medio ceko equivaleva
a circa centoventimila lire delle nostre: così ho finalmente capito
cosa vuol dire fare l'americano. Una sera, ho invitato a cena tre amiche
ceke e, su loro indicazione, siamo andati all'Admiral, un battello ormeggiato
sulla Vltava che funge da albergo, ristorante e disco-bar.
Abbiamo mangiato come lupi, con un cameriere che si preoccupava di riempirci
il bicchiere ogni volta che lo portavamo alle labbra, ed io, ad ogni portata,
pensavo drammaticamente all'assottigliarsi delle mie risorse finanziarie.
Al momento del conto... sorpresa! Diciamo che gli ho dato, al cambio,
circa ventimila lire per la lauta cena di quattro persone ed ho avuto
perfino diritto ad un pò di resto!
Un giorno, poi, ho percorso in moto una strada che, in un cantuccio fuori
vista, celava un divieto di transito commentato da una pappardella in
ceko: sono stato prontamente fermato da un VB, cioè un poliziotto
(VB è la sigla che le auto della polizia recano su portiere e cofani),
che stendendo la mano, mi ha abbaiato "Passport!". Gli ho fornito
prontamente il documento richiesto e lui mi ha indicato severamente, sul
loro codice della strada, il noto segnale bianco orlato di rosso: panico!
Mi immaginavo già trascinato in tribunale, giudicato severamente
in una lingua sconosciuta, difeso da un avvocato d'ufficio scarso -come
quello che patrocina il protagonista di Fuga di mezzanotte-, condannato
a dieci anni di lavori forzati o, alternativamente, alla fucilazione alla
schiena in una brumosa alba.
Capii che il VB si era erto a giudice e giuria; attesi con ansia malcelata
le sue deliberazioni e quando seppi che ero stato inappellabilmente condannato
alla sanzione di "Cento krone!" -come mi disse testualmente
con sguardo torvo- allungando la mano in un gesto inequivocabile, tirai
un leggero sospiro di sollievo; feci due rapidi calcoli: cento Corone
erano l'equivalente di una giornata di lavoro... per un ceko!
Al cambio faceva, circa, quattromila lire! fui così entusiasta,
della pena comminatami, che mi informai per sapere se era possibile fare
abbonamenti per dieci infrazioni: mi fecero capire che, l'abbonamento,
non avrebbe avuto valore per le infrazioni previste dal Codice italiano...
Peccato!
Dimenticavo di aggiungere che il concetto di Ricevuta dell'Oblazione dev'essere
stato intraducibile, per il mio VB...
Comunque, fantastica Praga!
Note:
1 Non c'è niente di ridicolo a cantare,
in sè: basta avere una bella voce e/o il pubblico nella giusta
quantità/qualità. Per esempio, io canto in moto o sotto
la doccia... e mai che i rubinetti od il contagiri mi facciano un bell'applauso!
2 O meglio: si consumava! Chi ha più
il tempo, a mezzogiorno, di andarsi a fare un bel pranzo sostanzioso,
con le gambe placidamente sotto il tavolo?
3 Nell'estate del '90, la quotazione del Marco
tedesco oscillava intorno alle 750 Lire.
4 Quanto accoratamente lo contemplerò,
nei giorni seguenti, rimuginando su pesi ed ingombri di una moka e di
un pò di caffè -ficcati tra i miei bagagli- essendo in piena
crisi d'astinenza per un buon espresso all'italiana!
5 Furono lungamente assediati nella cripta sottostante
la chiesa di San Cirillo; tentarono di stanarli buttando bombe a mano
e pompando acqua dal fiume attraverso una stretta finestrella orizzontale.
|