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Diario di Bordo (Quinta parte)

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PESCE, SOLE E COCCOLE

Se potessi liberamente scegliere come reincarnarmi, finita questa vita di molti dispiaceri e poche gioie, vorrei essere un gatto da baia di pescatori, vorrei essere un gatto di Boccadasse.
Li osservavo, qualche giorno fa; acciambellati sui teloni di copertura delle barche sul piazzale, a godersi il tepore di questi raggi autunnali, apparentemente addormentati, ma con i vividi occhi verdi e gialli pronti ad aprirsi, indagatori, per investigare sull'origine di qualunque suono fuori dalla routine o la cui fonte possa diventare troppo prossima; incuranti dei lunghi ed oziosi discorsi dei pensionati, indifferenti ai sussurri affettuosi degli innamorati, alle accese discussioni calcistiche o politiche dei Combattenti e Reduci, al festoso schiamazzo dei bambini che giocano, al chiacchiericcio delle madri, al sibilo degli aerei che si approssimano all'atterraggio o al ritmico battuto degli elicotteri in pattugliamento, al rombo dei motori fuoribordo provati davanti alle rimesse, dentro un barile colmo d'acqua salsa, al vago ronzio delle barche spinte al largo dalla loro luccicante elica, all'ipnotico frusciare dei ciottoli perennemente rimestati dalla risacca.
Loro stanno lì, pacifici: accettano graziosamente le coccole dei passanti e continuano a dormire placidamente, con quella loro inquietante indifferenza da padroni dell'universo.
Ogni tanto si stiracchiano, socchiudono gli occhi con fare soddisfatto e decidono di andare ad appostarsi accanto ad un pescatore, appollaiato su uno scoglio con la sua brava canna, il suo pastone maleodorante, il suo secchiello colmo d'acqua per accogliere le eventuali prede e la sua sterminata, rilassata pazienza. Gli si siedono compostamente accanto, con la coda educatamente avvolta sulle zampe e seguono con distaccato interesse i movimenti del galleggiante.
Se qualche pesce ha la cortesia di abboccare, ricordano la loro presenza con insistenti, patetici miagolii e tentano di indurre il pescatore a gratificarli per la compartecipazione elargita con l'obolo di un guizzante pesciolino argenteo. Se, invece, intuiscono che la pesca sarà infruttuosa, si alzano e, con dignitosi passi, si allontanano con sussiego fermandosi, magari, ad annusare un bicchierino vuoto di gelato e decidendo, con malcelato imbarazzo, di dare pudicamente qualche leccata alle gocce di crema rimaste.
Un atto così plebeo, viene però solitamente riscattato con un agile balzo su un muretto od una barca baciata dal sole, dove potersi dedicare in pace alle lunghe, pazienti leccate di manutenzione alla loro meravigliosa pelliccia.
Poi, quando il sommesso borbottio di un motore diesel preannuncia il caracollante rientro di una barca di pescatori, raggiungono pigramente il punto dell'attracco e lì si appostano, esigendo la loro tassa sul pescato con miagolii e ruffianeschi strofinamenti contro gli stinchi degli uomini impregnati di salmastro. Se il mare agitato ed il vento, arruffando il loro serico pelo, fanno capire che, per gli umani, non è il caso di uscire in barca, non disperano: sanno che qualche amorevole vecchina arriverà col suo bravo cartoccio di pastasciutta.
Ogni volta che passo, trafelato per gli affanni che la nostra vita da umani ci porta ad avere, mi guardano pigramente e socchiudono gli occhi; una domanda, allora, mi sorge spontanea: si staranno mica prendendo gioco di me?


 

UNA CITTA' PER CANTARE

Rilassatevi: non ho alcuna intenzione di mettermi a cantare, stante la mia poca estensione vocale ed il mio notevole senso del ridicolo(1) ; preferisco inoltre conservare rapporti cordiali con tutti voi e sentirmi cantare, diciamolo, potrebbe essere già un ottimo motivo per detestarmi.
Semplicemente, cercavo un titolo per questa parte, che parlerà di luoghi lontani ed i tasti, praticamente da soli, hanno tirato in ballo il titolo di una bella canzone di Ron, cantante che apprezzo fin dai tempi in cui era noto come Rosalino Cellamare.
Gli eventi, la curiosità, la vita mi hanno portato a conoscere alcune città, sia in Italia che all'estero.
Ho vissuto per un certo periodo a Londra, parecchi anni fa, dove ho avuto la possibilità di sgrossare notevolmente la mia conoscenza dell'inglese; questa -ormai antica- esperienza mi ha insegnato una cosa che ho capito essere importante: partendo dall'elementare considerazione che una città non è fatta solo di viali e di palazzi, ma è anche fatta da -e per- i suoi abitanti, per conoscere e quindi capire una località bisogna entrare nei panni, nelle abitudini e, quindi, nella testa di chi la abita. Per adottare appieno il loro modo di vivere, è essenziale avere un pochino di umiltà intellettuale, di curiosità e... il coraggio di mangiare ciò che piace a loro. Quando osservo, con occhi dubbiosi, una qualche esotica portata, considero sempre che, se sopravvivono loro...
Nel Regno Unito, per esempio, ho imparato ad apprezzare l'uso nordico di una sostanziosa prima colazione -pratica che noi archiviamo miseramente con un cappuccino ed una brioche, quando siamo in vena di stravizi!-, che permette di tirare avanti, agili e leggeri, fino alla sera, grazie ad una piccola dose di richiamo sul far del mezzodì (tipo un panino), anziché il pasto, non di rado greve e di impegnativa digestione che si consuma alle nostre latitudini(2).
Potrete quindi immaginare il mio spasso a Copenhagen (o København, secondo la loro grafia), sentendo una mia connazionale, compagna di escursione (e moglie di un medico, ma prontamente soprannominata la Pesciaia per lo stile assolutamente inimitabile) vantarsi di aver scovato pizzerie e ristorantini italiani per ogni sua necessità alimentare.
Copenhagen mi è rimasta nel cuore per la sua bellezza ma, sopratutto, per la cordialità, la simpatia e la voglia di essere utili con gli stranieri (quasi imbarazzante per noi scortesi italiani, se proprio devo dire!) dei suoi abitanti. Gente -mai vista!- che ti incrocia per strada e ti sorride cordialmente; gente che ti accompagna alla fermata d'autobus, anziché liquidarti con uno spiccio "giri a destra, poi la seconda a sinistra" o, peggio, "non sono di qua!"; tutti che parlano inglese, tutti che ti congedano con una bellissima frase di augurio: Abbi una piacevole giornata, a Copenhagen.
La città che ho trovato più affascinante, però, è Praga (o Praha, nella loro grafia).
Vi ho già narrato di come l'ho raggiunta a cavallo della mitica Rossa: provenendo da Pilsen, ho percorso una bella statale che, trenta chilometri fuori dai primi sobborghi, diventa una comoda autostrada (senza pedaggio, come in tutti i paesi civili!), alla fine, ci si trova a passare sotto un'indicazione a portale che annuncia, per chi proseguisse dritto, il raggiungimento di PRAHA ZENTRUM.
Mi sono fermato sotto a questo portale e l'ho fotografato, con la mia moto in un angolo: attraversando paesi dalla lingua ostica, azzuffandomi col cambio di scellini, marchi e corone, dopo aver pagato il carburante dalle millecinquecento e passa lire al litro -del 1990!-, in Italia, alle novecentoespicciolelire in Germania, utilizzando un mezzo di trasporto di cui non avevo lunga familiarità, dopo un... intenso viaggio dentro me stesso, con caldo e sole, freddo e pioggia, passando davanti a doganieri indifferenti, affaccendati, pignoli, cortesi, finalmente ero arrivato: il selciato di Praga era sotto di me!
Se avessi avuto una piccozza ed una bandiera italiana, forse l'avrei piantata lì, come si usava fare in cima all'Himalaia; la mancanza dei due articoli in questione mi ha salvato da quest'azione di ridicolaggine vergognosa!
Comunque ero a Praga: sobborghi anonimi, con tetri palazzoni dormitorio -radi, come se non si fidassero gli uni degli altri-, traffico scarsissimo, poca gente in giro: una sensazione da Ferragosto in città. Poi, attraverso strade affiancate da palazzi a cavallo del secolo, tristi, malconci ed ingrigiti come vecchie barbone vestite di logore pellicce, mi sono trovato davanti un carrozzone di legno -tipo quelli che avevano gli zingari prima di scoprire roulottes e Mercedes- con un casalingo striscione, a mò di insegna, che prometteva Tourist Informations.
Quando venne il mio turno (mi ero messo educatamente in coda, per tirarmela da straniero!), venni a sapere che avrei potuto affittare un completo appartamento, arredato e fornito di tutto ciò che ci si aspetta di trovare in una casa -per la compagnia, però, avrei dovuto provvedere in proprio!- per una cifra aggirantesi intorno ai 60 DM (ero lieto di aver accettato il consiglio della cambiavalute al Brennero, che mi aveva suggerito di cambiare le Lire in Marchi tedeschi anziché in Dollari USA), cioè circa quaranta biglietti con l'effigie di Marco Polo (da ciò anche detti marchi italiani, con la minuscola!), da mille(3) .
Feci una mentale verifica di cassa e dichiarai il mio deciso interesse per una sistemazione più cheap, più economica.
Vorrei sottolineare che, nel mio periodo praghese, mi espressi in uno strano idioma formato per l' ottanta per cento di inglese, per un quindici per cento di francese e tedesco e per il rimanente di italiano e di alcune parole in altre lingue (che però non trovereste mai in nessun vocabolario onesto!).
Al di là dell'idea che la cosa possa suggerirvi, riuscivo a comunicare decentemente, anche se vi assicuro che capire un ceko che parla inglese con un marcatissimo accento duro, tipo quello tedesco, è un'impresa praticamente disperata.
A seguito della mia richiesta di economicità, venni dotato di una dettagliata pianta di Praga e smistato ad un'altra sede della stessa ditta, raggiungibile seguendo -fedelmente!- il percorso tracciato sulla cartina.
Facile! Solo che guidare una moto sul pavé, schivando le rotaie del tram, è cosa decisamente incompatibile con le operazioni di carteggio. E non si può neppure contare sul sedile del passeggero per appoggiare la mappa aperta...
Dopo aver sbagliato strada due volte (gravissimo, per il mio senso d'orientamento degno di un buon piccione viaggiatore!), capii che non sarebbe stato uno scherzo girare quella sterminata città.
Giunto all'indirizzo di cui sopra, riuscii (facendo sfoggio dei miei migliori occhi dolci, di un sobrio complimento e del mio sconfinato fascino mediterraneo) a convincere una graziosa ed efficiente signora sulla quarantina a spedirmi in una specie di Casa dello Studente -nel distretto di Stresovice-, dove avrei potuto accamparmi per la modica cifra di 30 DM a notte, cioè circa ventimila lire di allora.
Raggiunto finalmente il luogo ove installare le mie -ridotte, causa moto- masserizie, mi trovai ad occupare una specie di monolocale adatto a due studenti, con microfrigo, fornelletto elettrico(4) e con la stanza da bagno in comune con la camera accanto; imbarazzante, lì per lì, ma poi basta ricordarsi di chiudere a chiave anche il bagno, prima di uscire.
Sgusciato -finalmente- fuori dalla mia tenuta da centauro, mi feci gradito dono di una magnifica doccia, adottai una mise da turista e partii alla conquista di Praga.
Praga è una città assolutamente affascinante ed incredibilmente bella; avevo, in seguito, letto un articolo dove l'autore la definiva: una località per la quale la definizione di meravigliosa è addirittura insufficiente; sono perfettamente d'accordo.
Ovviamente, i quartieri e le costruzioni di questo dopoguerra sono funzionali, quindi all'insegna della più assoluta anonimità, un pò tristi e vagamente squallide, salvo qualche rara eccezione (ma queste considerazioni si attagliano a qualunque periferia europea, direi!); a ciò si aggiunga una patina grigiastra, da imputare alla fuliggine dell'abituale riscaldamento a carbone, e quella ostinata ricerca della non esteticità tipica dei precetti edilizi di oltrecortina, per quanto riguarda i palazzi di civile abitazione: insomma, sono quartieri che non ispirano all'allegria! Però, la città vecchia...
La città vecchia è stupenda: eredità di quando Praga era un'importante capitale mitteleuropea, nido di arti e di cultura (cultura che durante il periodo del socialismo reale ha resistito, nonostante l'omologazione culturale imposta, come brace che covi sotto la cenere). La mia scarsa cultura architettonica mi porterebbe a definirla barocca, ma con importanti eredità trecentesche. La Torre delle Polveri, il Ponte Carlo, la stupenda Piazza San Stanislao, i fitti vicoli medievali (ottimamente illuminati, la sera), la mitica Piazza san Venceslao, il Castello Hradcany; tutti questi, ed altri ancora, sono i posti notevoli di questa città unica. E la Moldava (o Vltava) che scorre placidamente, serpeggiando tra le innumerevoli colline ammantate di palazzi, castelli, chiese e parchi, lambendo molti dei piccoli centri che, come un puzzle, formano l'insieme della città di Praga.
Ho assistito ad un indimenticabile tramonto, col cielo rosso e castano dietro al castello Hradcany e la luce che si rifletteva nel fiume, solcato placidamente da cigni, anatre e pacifici battelli; mi è venuto in mente il verso di una canzone di Roberto Vecchioni (ed a Marco il Danubio sembrò fosforo e miele): continuo a non capire il senso della frase ma, grazie a quel tramonto, credo di aver finalmente afferrato il concetto.
Uno dei luoghi più famosi di Praga è il Carlùv Most, ponte fatto costruire dal Re Carlo nel quattordicesimo secolo, utilizzando blocchi di granito scuro e, all'altezza di ogni pilone, con un piccolo slargo ornato, successivamente, da stupendi gruppi scultorei -rigorosamente neri- raffiguranti soggetti che si richiamano ai trascorsi storici di questa terra oppure che sono care al culto cristiano; alle estremità, due torri fungono da porte e sono culminate da ripidissimi tetti affiancati da quattro pinnacoli. Questo ponte, interdetto al traffico veicolare, è frequentato a tutte le ore da turisti in cerca di souvenir e cecoslovacchi in cerca di un pò di valuta; per ottenerla si industriano in tutti i modi: chitarristi con una bella voce e repertorio anglosassone, fantastiche jazz-band, spettacoli di giocolieri, mimi, marionette, pittori che vendono vedute, che eseguono ritratti e caricature al carboncino, perfino uno che esponeva soggetti inquietantemente sadomaso. Poi la pletora di venditori: chi vendeva bibite, chi divise e parti di corredo dell'Armata Rossa (da pochi mesi convinti a tornarsene a casa!), chi i famosi cristalli di Boemia, chi ninnoli e cianfrusaglie, chi spille con l'immagine del loro Presidente, il drammaturgo Vaclav Havel, chi pupazzi o bigiotteria fatta all'istante. Qualcuno, perfino, vendeva pezzi del filo spinato -infiocchettato coi colori nazionali- che, fino a pochi mesi prima, rappresentavano l'invalicabile confine del paese.
Era uno spettacolo continuo ed ho trascorso molte piacevoli ore passeggiando su queste consunte pietre cariche di secoli e di storia, cedendo anch'io alla bravura degli artisti ed alle lusinghe dei venditori: una sera ho acquistato uno dei più immangiabili panini della mia vita; sembrava farcito di sabbia e segatura. L'attenuante, data la mia genovese oculatezza, è rappresentata solo dalla quieta avvenenza della giovane venditrice.
C'è anche da dire, inoltre, della generale gradevolezza fisica di questa stirpe: in un paio di settimane non credo di aver incontrato una sola persona degna della lapidaria definizione di brutta.
Fonte di grande sorpresa, per me, è stata Vaclavske Namesti, cioè la mitica piazza San Venceslao.
Quando uno vi dice piazza, voi pensate subito ad uno spazio sgombro di edifici, in un centro abitato, che può essere grossomodo circolare (gli inglesi, pignoli, lo definirebbero circus) o più o meno rettangolare, ma con le due lunghezze simili -od almeno imparentate!-; bene: piazza San Venceslao è praticamente un largo viale (nell'ordine dei sessanta, settanta metri), lungo un'enormità (circa settecento!), con ampie aiuole al centro e due correnti di traffico ai lati. Per chi conosce un pochino Genova: come se definissero piazza il Viale Brigata Bisagno, sommato al contiguo Viale Brigate Partigiane, dall'incrocio con Corso Buenos Aires fino alla Fiera! Lo so anch'io che non la trovavo: l'avevano camuffata da Boulevard!
Venendo dal fiume, la piazza è pianeggiante fino a metà, poi inventa una dolce pendenza fino al Museo Nazionale, che la domina con la sua grandiosità. Poco davanti al museo, ad una cinquantina di metri, la statua equestre dedicata a questo santo guerriero e, appena più sotto, un cerchio di pietre stipato di candele, ceri e fiori freschi, che indica il punto dove Ian Palach si suicidò, dandosi fuoco, per protestare contro l'invasione sovietica del '67. In quell'inizio di agosto del '90, quando sembrava che ormai dovesse finalmente... scoppiare la pace, ricordo la mia gioia ed il mio orgoglio di europeo e di libero cittadino nel vedere, in mezzo a quei tributi floreali ed a quelle tremule fiammelle, un cartello con il tricolore e la scritta L'Italia è con voi.
I ceki hanno grande stima e rispetto per i loro eroi nazionali: recatomi a visitare il luogo dove furono uccisi dai tedeschi gli attentatori di Heydrich(5) , ho notato, di fianco alla lapide bronzea che ricorda l'evento (la mia totale ignoranza della lingua locale mi ha completamente tagliato fuori dalla comprensione del testo, ma piacendaddìo là scrivono le date come noi e poi, sulla lastra, sono raffigurati due paracadutisti, in mesta posizione da lapide funebre, in bassorilievo), oltre alle scheggiature dei proiettili di mitraglia sulle antiche pietre, fiori freschi e la foto di Josef Gabchik, uno dei protagonisti del fatto, vistosamente ritagliata da una qualche pubblicazione.
Tornando alla Praga priva del frastuono cadenzato di stivali militari, altro punto assolutamente degno di nota è piazza San Stanislao, magnifico esempio di piazza barocca, con uno stupendo orologio astronomico -sulla facciata dell'antico municipio- dal quale è possibile desumere l'ora, la stagione, la fase lunare, la posizione della volta celeste e dello zodiaco, l'oroscopo personale col calcolo dell'ascendente, la traiettoria dei missili, il quadrato dell'ipotenusa elevato alla radice cubica della somma dei cateti, il numero di scarpa del costruttore in multipli del miglio inglese e cosettine così.
Siccome all'antico artefice l'insieme sembrava poco complicato, a mezzogiorno parte una sarabanda di figurine animate -raffiguranti gli Apostoli e seguite da un gallo- che sfilano in alto, suonando la tromba, facendo inchini, risolvendo il Bozzoli sulla Settimana Enigmistica e via dicendo, allietate dal suono di una campanella allegramente azionata dalla Morte; all'urlo di potevamo stupirvi con gli effetti speciali..., insomma. Al di là di tutto, è una cosa che vale assolutamente la pena di vedere.
Non vi parlerò del castello Hradcany perché, purtroppo, Praga era infestata da orde di turisti e fare tre ore di coda -anche se per visitare questo stupendo edificio, stipato di mirabili pezzi d'antiquariato-, francamente, non me la sono sentita; spero che non mi odierete troppo, per questo!
Comunque, questa città è in grado di dare emozioni ad ogni passo e non mi sembra giusto, in fondo, limitare la vostra voglia di conoscere decantando alcune cose anziché altre. Andate costà e fruitene liberamente!
Se cercate l'ambasciata italiana, la potrete trovare in uno splendido palazzo della Uzov Nerudova, a poche decine di metri dall'estremità occidentale del Ponte Carlo, in uno stupendo palazzo liberty ornato ad figure allegoriche: nell'architrave del portone vedrete, a sinistra, la figura di una vecchina che tende la mano (per dare? Per ricevere? Chi può dire...?); a destra, invece, l'immagine di un povero disgraziato che gradirebbe sicuramente, se gli venisse dato qualcosa... Gli stipiti, infine, sono ornati da due mostrazzi alati -tipo draghi- che, con espressione tra lo stupito e lo spaventato, sembrano fissare la targa ovale con lo stellone e la scritta Ambasciata d'Italia con la tipica espressione di chi pensa: Ma con tutto il posto che c'era, proprio qui, accidenti al demonio?
Mi ero spinto in cerca dell'ambasciatore per scroccargli uno di quei famosi cioccolatini, ma mi hanno -gentilmente- fatto notare che, in agosto, non si possono avere nè cioccolatini, nè ambasciatori...
Segnalo, giusto di fronte, un bar dove è possibile trovare un caffè all'italiana decente. Inutile farvi notare, data la mia abituale jella, che il locale in questione l'ho trovato solo il penultimo giorno...
Ultime annotazioni: nell'estate del '90, uno stipendio medio ceko equivaleva a circa centoventimila lire delle nostre: così ho finalmente capito cosa vuol dire fare l'americano. Una sera, ho invitato a cena tre amiche ceke e, su loro indicazione, siamo andati all'Admiral, un battello ormeggiato sulla Vltava che funge da albergo, ristorante e disco-bar.
Abbiamo mangiato come lupi, con un cameriere che si preoccupava di riempirci il bicchiere ogni volta che lo portavamo alle labbra, ed io, ad ogni portata, pensavo drammaticamente all'assottigliarsi delle mie risorse finanziarie. Al momento del conto... sorpresa! Diciamo che gli ho dato, al cambio, circa ventimila lire per la lauta cena di quattro persone ed ho avuto perfino diritto ad un pò di resto!
Un giorno, poi, ho percorso in moto una strada che, in un cantuccio fuori vista, celava un divieto di transito commentato da una pappardella in ceko: sono stato prontamente fermato da un VB, cioè un poliziotto (VB è la sigla che le auto della polizia recano su portiere e cofani), che stendendo la mano, mi ha abbaiato "Passport!". Gli ho fornito prontamente il documento richiesto e lui mi ha indicato severamente, sul loro codice della strada, il noto segnale bianco orlato di rosso: panico! Mi immaginavo già trascinato in tribunale, giudicato severamente in una lingua sconosciuta, difeso da un avvocato d'ufficio scarso -come quello che patrocina il protagonista di Fuga di mezzanotte-, condannato a dieci anni di lavori forzati o, alternativamente, alla fucilazione alla schiena in una brumosa alba.
Capii che il VB si era erto a giudice e giuria; attesi con ansia malcelata le sue deliberazioni e quando seppi che ero stato inappellabilmente condannato alla sanzione di "Cento krone!" -come mi disse testualmente con sguardo torvo- allungando la mano in un gesto inequivocabile, tirai un leggero sospiro di sollievo; feci due rapidi calcoli: cento Corone erano l'equivalente di una giornata di lavoro... per un ceko!
Al cambio faceva, circa, quattromila lire! fui così entusiasta, della pena comminatami, che mi informai per sapere se era possibile fare abbonamenti per dieci infrazioni: mi fecero capire che, l'abbonamento, non avrebbe avuto valore per le infrazioni previste dal Codice italiano... Peccato!
Dimenticavo di aggiungere che il concetto di Ricevuta dell'Oblazione dev'essere stato intraducibile, per il mio VB...
Comunque, fantastica Praga!

Note:

1 Non c'è niente di ridicolo a cantare, in sè: basta avere una bella voce e/o il pubblico nella giusta quantità/qualità. Per esempio, io canto in moto o sotto la doccia... e mai che i rubinetti od il contagiri mi facciano un bell'applauso!

2 O meglio: si consumava! Chi ha più il tempo, a mezzogiorno, di andarsi a fare un bel pranzo sostanzioso, con le gambe placidamente sotto il tavolo?

3 Nell'estate del '90, la quotazione del Marco tedesco oscillava intorno alle 750 Lire.

4 Quanto accoratamente lo contemplerò, nei giorni seguenti, rimuginando su pesi ed ingombri di una moka e di un pò di caffè -ficcati tra i miei bagagli- essendo in piena crisi d'astinenza per un buon espresso all'italiana!

5 Furono lungamente assediati nella cripta sottostante la chiesa di San Cirillo; tentarono di stanarli buttando bombe a mano e pompando acqua dal fiume attraverso una stretta finestrella orizzontale.

 
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