VITA CON
CAMILLO (1991)
Vivo con un gatto. Dico così perché
non trovo corretto dire "ho un gatto", così come si dice
"ho un cane", poiché il rapporto tra umani e gatti non
potrà mai tradursi in un rapporto gerarchico, come tra umani e
cani (od altri animali da compagnia, dal canarino all'ornitorinco).
Apro una parentesi, sulle varie e originali bestiole da compagnia, per
citare (in forma rigorosamente anonima, seguendo una mia ferrea regola)
quell'amico che era riuscito a convincere una ragazza di avere, come animaletto,
un pinguino; persuasa al punto tale che la soccorrevole fanciulla, avendo
saputo del grave -ma immaginario- guasto al frigorifero dell'amico in
questione, si era presentata, accompagnata dal padre, con due borse termiche
colme di cubetti di ghiaccio per il benessere del pinguino in argomento.
Tornando ai gatti, con loro si può instaurare solo un rapporto
di civile convivenza, stante la loro forte personalità ed assoluta
indipendenza. Con Camillo, il mio splendido compagno fasciato in una meravigliosa
pelliccia, nera e lucida come uno spider, abbiamo raggiunto dei ragionevoli
accordi, generalmente rispettati da entrambi i contraenti; per esempio,
Camillo ha il tassativo divieto di salire sui mobili o sui tavoli, può
accedere solo alle seggiole, poltrone e divani (al punto tale che facciamo
i turni per utilizzare la poltroncina del mio studio, davanti al computer:
lui ci dorme quando io non scrivo e se, disgraziatamente, la mia pulsione
creativa coincide con un suo sonnellino, rimuovendolo dal sedile della
nostra poltrona, mi guadagno sguardi densi di riprovazione!).
Questo gentlemen agreement, tuttavia, non vuol dire che si trattenga dal
salire sulla mobilia, sarebbe un insulto alla sua... indipendenza (ho
dovuto pensare un pochino al termine perché testa di cavolo mi
"portava via il nome") ma, se entrando in una stanza lo sorprendo
su un tavolo o su un mobile, mi guarda brevemente, scende con la tipica
fretta di chi è sopreso in fallo e bofonchia cose misteriose, presumo
improbabili giustificazioni. Sì, perché Camillo cerca di
comunicare con me anche attraverso le parole (con grande imbarazzo mio
che comprendo solo il linguaggio degli umani, mentre lui capisce sia il
nostro che quello dei gatti!!)
Quando dormo fino a tardi, per esempio, e lui deve uscire in giardino
per normali necessità divenute impellente nel tempo, si accosta
al mio cuscino ed emette un suono (Haccco!) che -ammetterete- è
abbastanza assonante al mio nome.
In genovese, le cosiddette parolacce vengono definite, con delicatissimo
eufemismo, le parole del gatto; non domandatemi l'origine di questa forma
(che si perdono nella notte dei tempi), perché non vi saprei assolutamente
rispondervi anche se, una volta, ho trovato una probabile spiegazione,
proprio grazie a Camillo. Ora vi narro.
Quando arredai la mia prima abitazione, avevo requisito dalla casa familiare
il tavolo da pranzo, dotato delle sue regolamentari quattro sedie (stile
svedese, con sedile imbottito e ricoperto -quindi- di stoffa); seggiole
che erano diventate il posto preferito di Camillo per dormire. Purtroppo,
l'incalzare degli anni non era stato clemente, con il quartetto specializzato
in sederi, e dovetti quindi decidermi a metter mano al portafogli e radiarle;
la mia scelta, cadde su seggiole di frassino, pieghevoli, con il sedile
tipo Paglia di Vienna, che erano simpatiche, moderne ed... economiche
(cosa affermava il Poeta, che i soldi non fanno la felicità? E
figuratevi un po' la miseria!!).
Una notte, si era appena andati a dormire, sentii il tipico fruscio della
seggiola che scivola brevemente sul pavimento di graniglia: Camillo era
saltato su una delle famose sedie per dormire. Immediatamente dopo, però,
la pace dell'ora tarda venne turbata da un fracasso spaventoso: oltre
al rumore della seggiola che si richiudeva e cadeva a terra (Camillo doveva
essere salito passando tra i due sostegni dello schienale: la pressione
del suo peso -non è mai stato un gatto emaciato!- sul bordo posteriore
del sedile, ha provocato la chiusura del manufatto), si sentì anche
tutta una serie di suoni, tonalità bassa ed origine indubbiamente
felina, del tipo: gnao, maramao, agnamagnao, eccetera. Visto il tono e
la situazione, nonostante la pochezza del mio vocabolario felino, non
feci fatica a riconoscere quei versi come l'equivalente di potenti bestemmie!
Che poi i gatti (o quantomeno Camillo) comunicano con tutta una serie
di segnali, di movimenti. La coda, nata come bilanciere per i salti dei
felini, denuncia spesso l'umore, dalle sferzate che denunciano profonda
irritazione, al ritmico movimento dell'estremità -sintomo di vivo
interesse-, fino alla posizione della coda stesa placidamente dietro o
drappeggiata intorno alle zampe: uno stato di quiete e rilassamento assoluto.
Poi ci sono gli ammiccamenti egli occhi, che indicano simpatia (o complicità,
quando lui continua a far andare il suo sguardo da me al frigorifero e
viceversa della serie: "Dai, apri il frigo, che siamo amici ed io
ho fame!").
Altro indice dell'umore sono le orecchie (mosse da ben ventiquattro muscoli
diversi, lo sapevate?). I gatti, grazie alle loro orecchie ed ai peli
relativi (non ridete, ho letto che è proprio così!), sono
in grado di sentire nitidamente (salvo quelli sordi, vabbè!) una
notevolissima gamma di suoni ed ultrasuoni; potendo poi orientarle a piacimento,
riescono ottimamente a localizzarne la fonte.
Camillo, poi, è un gatto da interdizione antiaerea: tutto ciò
che vola gli stimola le secrezioni gastriche e scatena il suo istinto
di grande cacciatore (se avesse il porto d'armi, sarebbe un'esperienza
decisamente sgradevole provare ad atterrare qui a Genova!). A parte quando
arriva con un uccello tra i denti aguzzi, da sparuti passeri a certi piccionacci
di circa un metro di apertura alare (con la tipica espressione del vuoi
favorire?; fa lo spiritoso perché è certo del mio "no,
grazie. Senza complimenti!"), che poi si sgranocchia completamente,
con appassionata pazienza, davanti alla portafinestra che dà sul
giardino (Ed è stupefacente che dello sfortunato volatile restino
solo poche svolazzanti piume: riesce a masticarselo tutto, zampe e becco
compresi!), Camillo mi diverte quando in casa entra un moscone: lui è
lì che dorme, ma il ronzio dell'insetto gli attiva le orecchie
che allora cominciano, ognuna per conto proprio a spazzare un quadrante
dell'area della stanza, esattamente come un radar antiaereo.
Quando ha agganciato il target (non è una parolaccia, vuol dire
bersaglio nel gergo dei radaristi -che usano spesso parole inglesi!),
seguendo la direzione indicata dalle orecchie, lo collima otticamente
e comincia a seguirlo con adeguati movimenti della testa. Come l'essere
alato scende sotto i tre piedi di quota (in aeronautica la quota è
sempre espressa nel britannico piede, ma rilassatevi: il trucco è
che ogni tre perfidi piedi inglesi, abbiamo praticamente un bel metro
semplice dei nostri!), la batteria antiaerea diventa mortalmente attiva:
Camillo spicca un salto -con le zampe anteriori tese- e colpisce l'intruso
tra le due zampe, esattamente come faremmo noi. Le due, fondamentali,
differenze sono rappresentate dal suo margine di errore -bassissimo: otto
centri su dieci!- ed il fatto che noi umani non ci precipitiamo ad ingoiare
le povere spoglie volatili.
Diciamo che il mio gatto, ogni tanto, si offre uno spuntino volante...
Quell'adorabile felino, ovviamente, detesta alcune cose tipiche della
cultura degli umani; sono riuscito ad instillargli un salutare timore,
nei confronti di tutti i veicoli in movimento, timore che lui esorcizza
utilizzandoli, quando sono parcheggiati, come bersagli per lasciare i
suoi messaggi odorosi -mediante schizzi d'orina- od usandone i copertoni
per farsi le unghie.
Come molti altri suoi simili, poi, Camillo dimostra una vera idiosincrasia
per i viaggi: probabilmente le oscillazioni, i sussulti ed il beccheggio
dei veicoli turba il suo senso dell'equilibrio anche se, devo dire, sopporta
meglio il viaggiare -dentro il suo cellulare, assicurato sul sellino,
e riparato da un telo contro il vento della corsa- in moto, piuttosto
che sfuso, in macchina; le volte che siamo andati in campeggio insieme,
ovviamente in auto a causa dei bagagli, non ha mai smesso di protestare,
con strazianti miagolii, prima di aver superato i primi cinquanta-settanta
chilometri. Con una velocità media molto prossima agli ottanta
chilometri all'ora, vi assicuro che, per me, non è mai stata una
cosa tanto gradevole!
Camillo, che per motivi inerenti alla nostra prima sistemazione ha dovuto
rinunciare alla possibilità di avere una discendenza, ha pur vissuto
una grande, travolgente storia d'amore (anche se sospetto che ci fosse
del pragmatico interesse, da parte sua): era fidanzato col frigorifero.
Lo coccolava, ci si strofinava contro, gli faceva le fusa, lo guardava
con occhi amorevoli; l'apparecchio, non troppo interessato al corteggiamento,
invece se ne stava sulle sue: duro, freddino anzichennò, assolutamente
indifferente. Io facevo notare a Camillo che la sua storia non aveva un
futuro; lui mi giurava che non era vero, che il frigorifero lo amava.
Se chiedevo una prova di questa corresponsione, mi dichiarava che l'elettrodomestico
gli faceva le fusa. E' proprio vero: l'amore è cieco ed anche un
po' scemo: le "fusa" erano il ronzio del compressore!
La storia, alla fine, ebbe il suo epilogo: il frigorifero se ne è
andato con la lavatrice (E' fuggito, secondo Camillo. E' assolutamente
convinto che fosse una tresca che andava avanti da un pezzo!). L'usura
li aveva fatti mettere in lista di radiazione ed un pomeriggio, mentre
il mio impareggiabile compagno peloso era a zonzo, due rudi omaccioni
hanno solidamente afferrato il suo grande amore e lo hanno posato con
malagrazia sul pianale di un'Ape, legandolo stretto alla lavatrice, dopo
aver portato i due elettrodomestici nuovi.
Camillo, tornato dalle sue incursioni nei giardini del vicinato, come
è entrato in cucina ha fissato il punto dov'era sistemato il vecchio
frigorifero (lungo e stretto, pannellato falso teak) e poi ha realizzato
che, al suo posto, c'era un largo due-motori, bianco. Lo stupore è
stato tanto grande da fargli allungare il collo dalla sorpresa e strabuzzare
gli occhi (della lavatrice se ne è infischiato allegramente: la
sua roba, lui, se la lava da solo!).
Ancora adesso, dopo mesi, sta cercando di capire che tipo è, quel
nuovo coso bianco: ha deciso che non si sono simpatici e gli da, distaccatamente,
del lei.
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